Questa cosa non si fa (nella vita e nella Chiesa)
giovedì 8 ottobre 2020

Lo ammettiamo, non sempre è stato ed è facile; per farlo ci vuole una buona dose di coraggio che non a tutti è dato. Eppure è fondamentale, ce lo insegna il Vangelo, ce lo hanno ripetuto i santi, ce lo ha ricordato, nella catechesi di mercoledì scorso, papa Francesco. «Quanto abbiamo bisogno di cristiani zelanti che agiscono davanti a persone che hanno responsabilità dirigenziali con il coraggio di Elia per dire 'questa cosa non si fa'».

Anche nella Chiesa occorre trovare questo coraggio. Non sempre è accaduto, non sempre accade ancora oggi. Perché? Credo per un’educazione ricevuta che sovente ha rasentato il servilismo. Il rispetto dovuto al legittimo superiore è stato confuso, non poche volte, con una cieca sottomissione. Non va bene e Francesco ha sentito il bisogno di ricordarcelo. In secondo luogo, forse, per timore di una qualche forma di ritorsione. Si sa, a nessuno piace essere rimproverato, soprattutto quando a richiamarci alle nostre responsabilità è un giovane che ci deve rispetto e obbedienza.

Eppure bisogna ammettere che se tutti avessimo osservato questa regola evangelica, avremmo evitato tanta sofferenza alla Chiesa, agli uomini di Chiesa e soprattutto al popolo santo di Dio. Credo che, prendendo sul serio il suggerimento del Papa, sia non solo giusto ma doveroso soprattutto da parte dei preti, delle anime consacrate, dei laici che vivono e operano nelle periferie geografiche ed esistenziali del mondo, tra problemi e preoccupazioni di ogni genere, esprimere ai fratelli che occupano posti di grande responsabilità nella Chiesa, il loro disagio, le loro amarezze, il loro dolore, in seguito alle tristi notizie che ci arrivano sulle inchieste vaticane sull’uso 'improprio' di fondi della Santa Sede e dopo il passo indietro chiesto dal Papa al cardinale Becciu.

Il cristiano maturo sa bene che, anche dopo il battesimo, la cresima e la consacrazione sacerdotale o episcopale, tutti rimaniamo poveri e fragili figli di Adamo. Sa bene che ognuno, ogni giorno, a ogni ora del giorno, deve ripetere la propria convinta adesione a Cristo. Sa bene che Gesù, dopo aver fatto al suo amico Pietro il più bel complimento che un uomo possa mai ricevere quaggiù, lo allontana da sé. Perché? Non aveva commesso alcun reato, non si era reso colpevole di nessun delitto, perché Gesù lo tratta con tanta severità? La risposta ce la dà lui stesso: «Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Chi ha messo mano all’aratro ha sposato una logica diversa dalla logica umana. Ha fatto, per certi aspetti, una vera follia. Rimanere celibe è una follia, proclamare il Vangelo a gente che magari lo rigetta è una follia, donarsi tutto a tutti è una follia.

Perché, dunque, accettare di incamminarsi per questa strada se sai che è una follia? Per una sola ragione, e se questa ragione manca noi siamo i più infelici tra gli uomini. Questa strada la si imbocca perché siamo stati chiamati e ci siamo innamorati. E dove c’è l’amore nulla pesa. L’amore basta a se stesso. E se tanta gente non crede in Dio perché non lo vede, può arrivare a farsi domande sul senso della vita e della morte perché vede, tocca, ammira i figli di Dio, fatti di carne e ossa come loro. Nessuna illusione, ogni vocazione può essere vissuta all’insegna della fedeltà, della trasparenza, della gioia, ma può anche andare incontro alla noia, alla ripetitività, all’insoddisfazione. È allora che le vecchie cose abbandonate nel momento della chiamata possono ritornare prepotenti a far sentire la loro voce. Nessuna paura.

La Chiesa possiede gli antidoti per affrontare la sfida. Se siamo stati capaci di non isolarci, di mantenere viva la preghiera, di rimanere fedeli alla celebrazione della Messa, di provare gioia nel servire i poveri, ben presto la tentazione passa e ti lascia più forte e motivato di prima. Una cosa, però, va detta. Che tutti siamo peccatori, lo sappiamo; che tutti abbiamo bisogno di conforto e di perdono, lo sappiamo. Quando, però, a cadere nel peccato è un laico fa un certo rumore, se nello stesso peccato ci casca un prete il rumore sarà più forte, se dovesse precipitarvi un vescovo o un cardinale, allora il boato si leva assordante per il mondo. Nessun dubbio che il Padre ci perdona, però il popolo di Dio, quel popolo per il quale Dio ha versato il sangue sulla croce, si smarrisce, perde la speranza, sovente si allontana dalla fede. Che grande responsabilità.

La porpora indossata dai nostri cardinali, davanti ai quali ci inchiniamo, sta a dire il loro amore incondizionato a Cristo e alla Chiesa. Noi ci crediamo, perciò non smettiamo di chiedere al Signore per tutti il dono della prudenza, della sapienza, della trasparenza. Troppo poco per noi ministri della Chiesa tenerci lontani dai reati, dobbiamo darci a gambe levate anche quando dovessimo sentire solo lontanamente il puzzo del peccato. Grazie, papa Francesco. Le tue parole, mercoledì mattina, sono scese come balsamo sulle ferite aperte e sanguinanti di tanti credenti. Avevamo bisogno di sentirle e ce le hai dette come solo tu sai fare.

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