Quel che ci dicono i nuovi sacerdoti
sabato 12 giugno 2021

Quando li lanciano in aria c’è sempre un filo di apprensione: già sono pochi, ce li trattino bene... La festa che segue l’ordinazione dei preti è l’espressione di una gioia incontenibile, con il sacerdote appena uscito dalla chiesa spesso caricato in spalla dagli amici e fatto volare, come per consentirgli di toccare il Cielo con un dito, ma sul serio. C’è più di un motivo per liberare questa allegria festosa, che ricorda quella degli sposi sotto la pioggia augurale del riso.

La felicità dei presenti si mescola a quella del veder compiere un percorso complesso e irto di incognite capaci di scoraggiare molti altri. Chi arriva al traguardo del sacerdozio dopo una lunga preparazione appare a un mondo che sembra allergico a scelte così impegnative come l’incarnazione di un piccolo miracolo e insieme di una stranezza: impegnare la vita per gli altri è certo ammirevole, ma ci sono tanti modi per farlo, perché proprio il prete? Appunto: perché? In queste settimane tra primavera ed estate, tradizionale stagione di ordinazioni, quell’esultanza attorno a una tonaca appena indossata parla a tutti, come una domanda che a ciascuno risuona in modo diverso.

Le storie dei «preti novelli» sono altrettanti inviti a includere nell’imprevedibile sceneggiatura della vita anche l’opzione soprannaturale, tornando ad alzare lo sguardo. E non solo per vedere un giovanotto in talare che vola felice. Prendete i dieci giovani sul cui capo questa mattina l’arcivescovo Delpini imporrà le mani nel Duomo di Milano. I loro profili biografici sono simili a tanti altri di cui stanno dando notizia le diocesi di tutta Italia: c’è il filosofo e il medico, lo sportivo, l’impiegato e il farmacista, solo uno dice che la chiamata gli è «nata» in oratorio. Tutte biografie che confermano il cambiamento già in atto da tempo nei seminari italiani, con vocazioni 'adulte' sbocciate nelle aule universitarie ormai ben più spesso che al liceo. La gioia per i nuovi operai destinati a una messe sempre eccedente le nostre forze quest’anno cade in giorni nei quali ci guardiamo attorno increduli per il riaprirsi di un futuro a lungo dato per disperso.

Il virus pare ritrarsi lasciando campo libero alla coltivazione di sogni lasciati in sospeso, e chiama allo scoperto la speranza: ce n’è abbastanza per occupare lo spazio sgomberato dalle ombre di mesi drammatici e incerti? Siamo capaci di lasciarla esprimere, adesso che ci è così necessaria? A questo parlano direttamente le notizie di ordinazioni che – ci avrete fatto caso – in questo periodo punteggiano a cadenza pressoché quotidiana le nostre pagine di informazione religiosa. Non prendiamole come il ripetitivo bollettino di celebrazioni sempre uguali (nessuna esistenza è la fotocopia di un’altra, e tantomeno può esserlo una vocazione) perché sono la conferma che nel cuore del mondo c’è una sorgente che non si estingue. L’acqua fresca di una vita donata, e di altre un po’ dovunque, continua a zampillare come una promessa mantenuta. Nelle storie di queste vocazioni al traguardo della prima Messa c’è la rassicurante conferma che Dio si prende cura degli uomini.

E ci assicura la sua compagnia attraverso la vita di chi gli si affida, dandosi così com’è a noi, a tutti. È una faccenda che ci riguarda da vicino, altroché. Questi sacerdoti con sorrisi da qui a lì non sono nuovi 'effettivi' per rimpinguare parzialmente una categoria in deficit numerico rispetto a crescenti necessità. Alla fede non si addice la contabilità delle entrate e delle uscite, la fede è ben più di una partita doppia. Prendiamo piuttosto questo lieto flusso di ordinazioni come il segnale dei tempi sempre nuovi che ci vengono dati perché – specie all’alba di una stagione di fiducia ritrovata – sappiamo essere un poco nuovi anche noi.

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