I 6mila malati di Sla e un Paese al bivio
venerdì 21 giugno 2019

Seimila italiani: poca cosa, su 60 milioni di cittadini. Lo 0,01%. Sul piano elettorale, nulla. Su quello economico, anche meno. Anzi: ciascuno di questi 6mila costa alla collettività molto più della gran parte degli altri milioni di italiani. E in tempi di bilanci pubblici sempre più grami e di welfare da sforbiciare la loro posizione si fa quantomeno precaria: chi pesa troppo sulla collettività è il primo che dovrebbe sacrificarsi, anzi, meglio se ha il buon gusto di non chiedere proprio aiuto.

Occuparsi dei 6mila malati di Sla italiani significa toccare il nervo scoperto di uno dei punti di tensione più dolorosi della nostra società, che fatica sempre più a farsi carico delle esigenze di questa minuscola comunità di pazienti affetti da una delle patologie più inafferrabili, invalidanti e letali. La Sclerosi laterale amiotrofica è una malattia che – come altre, più di altre – obbliga a una vita gravata da necessità di ogni tipo e sempre crescenti, tra farmaci e terapie, presìdi sanitari e integratori, sino alla stessa ristrutturazione di case che con l’avanzare delle menomazioni diventano carceri per chi non dispone delle risorse per conformare muri e ascensori a esigenze che non ammettono sconti.

Lo ha raccontato ieri su queste pagine – con l’inesorabile asciuttezza di una penna familiare da tanti anni ai lettori – il nostro Salvatore Mazza, che col suo quindicinale "Slalom" da quasi un anno ci offre il diario della sua vita stravolta dalla Sla, una lettura imprescindibile per aprire occhi e cuore (le 18 straordinarie puntate sinora uscite sono online su Avvenire.it/rubriche/slalom). La malattia comporta infatti un onere dietro l’altro, con la complicazione aggiuntiva della burocrazia e di regimi assistenziali del tutto squilibrati tra una regione e l’altra. Per i tanti che sono appena sopra o subito sotto la soglia di povertà, poi, la diagnosi equivale a un ergastolo sanitario.

Ascoltare le storie dei malati di Sla, averne presente il calvario e il coraggio almeno oggi, nella Giornata annuale dedicata alla loro malattia, vuol dire entrare in quel territorio nascosto e dimenticato del Paese dove malati e anziani non autosufficienti, disabili gravi e persone affette da più patologie ci ricordano il necessario senso del limite alla vorace pretesa di assecondare ogni desiderio insieme al dovere della solidarietà indispensabile a una comunità che non vuole ridursi a somma di diritti in competizione. Ma nella loro presenza muta e rumorosa c’è anche dell’altro.

L’analisi sulle difficili prospettive del nostro Sistema sanitario nazionale offerta mercoledì 19 giugno su "Avvenire" dal professor Walter Ricciardi, già presidente dell’Istituto superiore di sanità, non concede illusioni rispetto alla possibilità che i malati di Sla – e i tanti nostri concittadini con esigenze mediche analoghe alle loro – possano trovare in futuro più ascolto rispetto a quello quasi sempre insufficiente che ottengono oggi. Una popolazione che invecchia a velocità imprevedibile, come ci ricorda una volta ancora l’Istat, con la proporzionale crescita dell’età media e dell’incidenza di patologie complesse, onerose e di lungo periodo, mette con le spalle al muro un Paese mai davvero uscito dalla grande crisi che squassa economia e società in quest’inizio di secolo. Solo che quelle spalle sono quasi sempre dei più vulnerabili, come i 6mila affetti dalla Sla.

Alcuni dei quali, disperati, ricorrono al solo sistema che conoscono per farsi ascoltare da un sistema mediatico pigro e distratto: invocare la "morte di Stato", estremo appello per riappropriarsi di una libertà sgretolata dall’indifferenza sostanziale della macchina pubblica prima ancora che dal progredire della malattia.

La solitudine sommata alla sofferenza e alla povertà rende queste persone come quel tale che scendeva verso Gerico e che si trova, senza sua colpa alcuna, esanime e pesto sul ciglio di una strada affollata, «mezzo morto», ignorato da quasi tutti.

Ci sarà ancora in giro un samaritano capace di vederne la condizione di grave bisogno? Potremo ancora contare sulla sua sensibilità, capace di informare di sé un’intera civiltà? C’è da dubitarne, se nel Paese dovesse davvero prevalere l’approccio che antepone alle esigenze reali e tangibilissime di cura totale quelle tutte ideologiche del 'diritto di morire', impegnando corti di giustizia e aule parlamentari ad attrezzare percorsi per la «morte medicalmente assistita», con adeguato appoggio di complice comunicazione. Ma se il grido silenzioso dei 6mila resta inascoltato, a quale inaudita discarica di malati trasformati dalla disperazione in scarti sociali dobbiamo prepararci? Questo Paese è a un bivio e l’ora di reagire alla svolte sbagliate e decidere finalmente le svolte giuste è proprio arrivata: lo dobbiamo ai nostri 6mila fratelli e sorelle malati di Sla, grumo di dolore, vite preziose e degne, crudo lievito di speranza.

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