Profughi e migranti, nessuno si illuda: chi tace sull'ingiustizia ne renderà conto
martedì 17 gennaio 2017

Caro direttore,
a voi tutti di “Avvenire” un grande grazie perché non vi stancate di informarci con abbondanza di notizie e commenti e tenete sveglie le nostre coscienze. Perché non basta commuoversi e soffrire per il calvario dei migranti per forza, elargire offerte, manifestare nobili sentimenti, esprimere emozioni, recitare preghiere... quello che ci inchioda alla nostra responsabilità è il silenzio colpevole di chi ascolta e non interviene, evita il dialogo, la disputa con chi disprezza, denigra, accusa, si cela dietro l’impotenza a intervenire di fronte all’incalzare degli eventi, all’ineluttabilità delle sequenze storiche che giustificano i reiterati crimini, le inevitabili sventure di popoli considerati perdenti, perseguitati dai capricci della storia. Silenzi che volutamente ignorano la sacralità dei diritti, l’universalità dei valori sociali. Se chi sa e ha gli argomenti per intervenire, la possibilità di parlare tace, lascia che si diffondano solo le voci ostili, l’eco delle opinioni egoistiche pronte a difendere lo spazio del proprio benessere con muri e filo spinato, con la violenza verbale o fisica... Se ciascuno si trincera dentro il castello del proprio silenzio, senza ribattere a coloro che agitano lo spauracchio di un futuro “nero” in tutti i sensi... Se noi, sempre pronti a lanciarci contro l’ottusità delle caste politiche o religiose, ci rifugiamo nel nostro giardinetto privato per timore di farci rosicchiare una parte del nostro buon vivere... se... Ma ci siamo mai domandati, noi, se il nostro personale silenzio non sia colpevole?

Giulia Borroni Cagelli

È vero: me lo chiedo spesso, cara professoressa, se tacere non sia una colpa insostenibile in questo tempo di frastuoni, in cui alzano la voce (e ondate di fango) soprattutto gli spacciatori di sospetto, di inimicizia e persino di odio, trascinandosi dietro un coro di impauriti e incattiviti che si fermano al primo angolo informativo e, nel tempo della globalizzazione, vorrebbero alzare muri in faccia al mondo intero e – come cantava Lucio Dalla – in cuor loro hanno già «messo i sacchi di sabbia vicino alla finestra». È per questo che, assieme ai miei colleghi, non osservo il silenzio su questi temi, soprattutto quando è più scomodo parlare e in tanti gridano, si tappano le orecchie e stringono gli occhi sino a non vedere più con chiarezza. La prudenza e la solidarietà discreta ed efficace in certi frangenti possono essere la via migliore per perseguire il bene possibile e necessario o anche solo il male minore, ma l’esperienza insegna che chi si rassegna a un aspro e insultante “politicamente corretto”, come quello che comincia ad andare per la maggiore contro i migranti e contro chi li vuole trattati da persone dentro un quadro di regole chiare, è un debole pericoloso e manipolabile anche se si sente forte. E la saggezza del Papa e dei nostri vescovi ci conferma che chi nulla dice e nulla fa di fronte all’indigenza, all’ingiustizia e alla menzogna o, peggio ancora, di esse si rende direttamente o indirettamente complice, ne risponderà. Dovrà renderne conto prima alla propria coscienza e, presto o tardi, anche al tribunale della storia. Nessuno può illudersi che non accada. Per questo, da molti anni ormai, non lascio correre quando vedo stringersi l’assedio dei tristi e triti luoghi comuni in cui – prima ancora che in qualche “centro” variamente denominato – richiedenti asilo e migranti economici vengono confinati da quanti guardano soltanto da lontano a quelle storie, a quelle fatiche, a quelle attese. Ecco perché, gentile e cara amica, sono totalmente d’accordo con lei: non basta commuoversi a intermittenza (anche se sapersi commuovere al cospetto della sofferenza ,della morte e della speranza è sempre importante). Ecco perché chiedo anch’io regole certe e salde – e percorsi sorvegliati e finalmente e interamente illuminati – per le migrazioni di profughi e cercatori di futuro. Sì, dobbiamo arrivare a regole e atteggiamenti di mente e cuore che governino davvero, e umanizzino, i movimenti di persone, sciogliendo l’attuale condizione da incubo (sempre per chi parte, ma spesso ormai anche per chi accoglie), strappando loro dall’imperio brutale dei trafficanti di esseri umani e non pochi di noi dalla cinica manipolazione di politici interessati e avventurieri. Insomma: dobbiamo darci regole capaci di cancellare gli spazi ingiusti dell’illegalità. Ma senza negare o anche solo diminuire quelli, sacrosanti, dell’umanità. Se perdessimo questa, che cosa meriterebbe di essere difeso?

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