martedì 11 agosto 2015
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Siamo saturi. O almeno, ci siamo convinti di esserlo, nell’assedio suadente e narcotico di tecnologie e passatempi, di professioni stressanti e agende ingolfate di impegni. Ma càpita sempre un momento nel quale siamo presi alle spalle da noi stessi, da qualcosa che resta vivo e palpitante in fondo all’anima, sotto strati di distrazioni, e fa breccia nella superficie lucida delle solite cose. Forse memorie d’infanzia, echi di un’educazione tenuta cara, nel nascondimento, malgrado le apparenze, e poi parole immagini ricordi rimasti incisi come un graffito d’amore sulla pietra. C’è qualcosa – o Qualcuno – che tiene aperta una fessura nella corazza di una vita che si è fortificata contro le sorprese. E senza che ce ne accorgiamo è di lì che entra l’insensibile e potente richiamo a ciò che veramente siamo, pur non riuscendo noi a dargli un nome. Bisogna prendersi la libertà, quando questa è più larga come d’estate, per darsi occasioni che permettano a questa memoria di un’esistenza autentica e rimpianta di riaffiorare. Accodandosi, ad esempio, a una delle innumerevoli processioni per le feste patronali dei paesi nei quali capitiamo in vacanza: l’Italia nei mesi delle ferie ne è disseminata, e dietro la statua del santo benedicente o della santa in posa ieratica sfila la gente del posto, che ha caro quel simulacro come parte del proprio tesoro, e la folla multiforme dei turisti – di noi visitatori abituali o d’occasione – che forse senza neppure crederci troppo osservano e curiosano, attratti però da una calamita interiore. Quell’eredità che pareva spenta invece nelle strade acciottolate del paese ritrova voce, tra canti e litanie, la banda, il sindaco, il parroco, i chierichetti, i portantini che si danno il cambio sbuffando sotto il peso del baldacchino. La pietà popolare è un linguaggio che va dritto al cuore e richiama senza perder tempo in ragionamenti e obiezioni alla domanda sul nostro destino, che dietro la statua oscillante del patrono sgranando il Rosario non può che apparire in buone mani. Al lento passaggio del corteo il paese si ferma, la gente – anche quella che in genere non ne vuole sapere di religione – si fa sulla porta, spunta da balconi e finestre, e resta immobile, evidentemente colta dal tuo stesso pensiero: tutto questo non sarà forse un segno che mi rimanda a una vita più felice, libera, vera? E il cuore si accorge, fosse pure per un solo memorabile istante, che c’è chi non si stanca di chiamarti.
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