martedì 9 settembre 2014
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​Caro direttore,
non credo esista qualcuno che non ricordi il suo primo giorno di scuola. Il mio, 34 anni orsono, ha il colore rosso fuoco della cartella di Goldrake con Actarus in posa plastica al centro e il blu elettrico del grembiule altezza ginocchio rigorosamente stirato da mia madre per l’occasione, la cinepresa di mio padre e mia sorella, Laura, di due anni più piccola di me, schiena poggiata vicino la porta d’ingresso dell’Istituto, con il cestino di Barbie ed il grembiulino verde delle bimbe che andavano all’asilo. Emozioni per tutti, i nuovi compagni, matite, temperini, penne multicolori e gomme profumate. Quest’anno mio figlio Riccardo va in prima. 34 anni dopo si compie il rito anche per lui. È un bimbo fortunato come i tanti dell’"Istituto Comprensivo Mazzini" di Roma che affrontano tra mille selfie e riprese con i telefonini e i tablet il loro "primo giorno". Non ci sono più i robot d’acciaio giapponesi e Candy Candy ma le emozioni per genitori e figli, quelle sì, resistono a fatica agli anni e alla tecnologia, per fortuna. Andare a scuola per i nostri figli, non dimentichiamolo, ha un valore enorme. 30 milioni di loro coetanei invece, a causa di guerre e crisi umanitarie presenti in questo mondo, nell’anno 2014 in numero record rispetto a qualsiasi epoca precedente, non potranno godere del loro diritto a vivere l’emozione del "primo giorno" di scuola. Il perché lo spiego subito. Molte scuole sono state attaccate e milioni di bimbi sono sfollati e costretti a lasciare le proprie case e i propri studi. Cito qualche esempio. In Ucraina, dove i potenti giocano a braccio di ferro dalla mattina alla sera, 290 scuole sono state distrutte o danneggiate a causa dei combattimenti. In Centrafrica secondo una recente indagine un terzo delle scuole sono state danneggiate da colpi di arma da fuoco o date alle fiamme, saccheggiate o occupate da gruppi armati. A Gaza, per il conflitto che ha occupato le tristi cronache estive, oltre 100 scuole sono state utilizzate come rifugi da oltre 300mila persone sfollate durante il conflitto e devono essere ricostruite. E sembra già passato al dimenticatoio ciò che accade nel Nord Est della Nigeria dove sono stati uccisi decine di studenti e insegnanti e continuano a sparire studentesse, oltre 200 non sono ancora liberate. Bring back our girls, ricordate? Dulcis in fundo i bambini siriani, che vivono una guerra fratricida da oltre 4 anni. 3 milioni di loro, la metà degli studenti di tutto il Paese, non stanno frequentando le scuole in modo regolare. E dell’Iraq dicono purtroppo tutto le raccapriccianti cronache quotidiane. Nelle emergenze richiamate l’istruzione è un’ancora di salvezza, consente di superare i traumi, di dare un senso di normalità alle vite spezzate di milioni di fanciulli, dove di normale non resta ai loro occhi innocenti più nulla o quasi, ed è un investimento, per il futuro delle loro società. Senza le conoscenze, le competenze e il sostegno che l’istruzione garantisce come possono questi bambini e ragazzi ricostruire le loro vite e le loro comunità?
Come Unicef, direttore, siamo impegnati in prima linea per garantire il primo giorno di scuola anche a loro, ai bambini sotto le bombe, quelli che vivono le emergenze per fame, sete, povertà, costruendo classi temporanee e portando forniture di milioni di quaderni, penne, zainetti e materiali didattici. In Liberia e Sierra Leone, dove 3,5 milioni di bambini rischiano di contrarre l’ebola, stiamo sostenendo studi autodidatti per bimbi che non possono lasciare la propria casa e programmi di istruzione via radio! Sono programmi sotto-finanziati e il numero record di emergenze non consentirà a nessuno di loro – ben 30 milioni – l’emozione del "primo giorno". Non lo possiamo accettare, e non dovremmo consentirlo anche se la pace tarda ad arrivare.
Andrea Iacomini - Portavoce Unicef Italia
Sono totalmente d’accordo con lei, caro Iacomini. Quei trenta milioni di bambini che avrebbero potuto vivere, come tanti altri, il loro primo giorno di scuola e non possono farlo non sono l’unica faccia della guerra, della sopraffazione, dell’ingiustizia, della miseria e della malattia, ma ne sono il volto più innocente. Non può lasciarci indifferenti la loro condizione, e ci aiuta a ricordare ogni altro cacciato, escluso, rifiutato, emarginato, scartato per qualunque motivo e in qualunque fase della sua esistenza, dal concepimento alla vecchiaia più tarda. Lei, nel suo impegno, secondo il preciso mandato del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, si occupa e preoccupa soprattutto di costruire solidarietà per i bambini già nati e, continuando una lunga e originale intuizione del Comitato italiano per l’Unicef, di costruire legami tra bambini di Paesi, culture ed economie diverse e diseguali attraverso utilissimi programmi di «educazione allo sviluppo». Auguro a lei e a tutti i rappresentati e operatori dell’Unicef di aiutare a crescere generazioni nuove e capaci di far tesoro di una saggezza semplice: nessun «primo giorno» può essere mai negato a un bimbo o a una bimba e nessuno sviluppo è possibile se l’uomo e la donna non ne sono integralmente i protagonisti.
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