Se trionfa la convinzione che sia la guerra a portare la pace
lunedì 23 giugno 2025

«Non vogliamo la guerra, vogliamo la pace» ha detto il vicepresidente statunitense J.D. Vance meno di 24 ore dopo che Donald Trump ordinasse ai suoi bombardieri B-2 di sganciare la potentissima Gbu-57 sugli impianti iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan. Un attacco con cui gli Usa entrano al fianco di Israele nel conflitto con Teheran. Più dei fatti, però, nell’era politica della post-verità – termine sdoganato dallo stesso Trump – contano le narrazioni. Di fronte alla realtà di un tycoon che trascina il Paese verso una nuova “contesa bellica eterna” come quelle dei tanto criticati predecessori, Vance precisa: «Non siamo in guerra contro l’Iran ma contro il programma nucleare». L’ultima di una serie di acrobazie semantiche che si sono susseguite nelle ultime ore da una parte all’altra dell’Atlantico.

A dare il via è stato lo stesso Trump che ha annunciato il raid con un post su Truth. Sempre suo social personale si è congratulato con se stesso per lo «spettacolare successo militare ottenuto». Benjamin Netanyahu non è stato da meno. In conferenza stampa ha spiegato che «non intente prolungare le operazioni in Iran più del necessario ma nemmeno finirle anticipatamente». Il punto è cosa si intenda per “necessario”. Il premier israeliano non perde occasione nel legittimare ogni azione compiuta negli ultimi ventuno mesi come frutto della “necessità”. Non è un segreto che per il politico conservatore “stare con la spada sempre sguainata” debba essere il modus vivendi di Israele in un Medio Oriente popolato da “nemici irriducibili”. Una condizione ontologica – indipendente dunque dalle contingenze - dei Paesi arabi nella sua visione, mutuata dal padre, lo storico Benzion Netanyahu. E ripetuta qualche ora fa, ancora galvanizzato per l’aiuto americano: «Prima viene la forza, poi viene la pace». Un assioma che – ha spiegato – condividerebbe con Trump, determinato a costruire la pace attraverso la forza. «E stavolta di forza ne ha impiegata tanta» ha aggiunto compiaciuto. Peccato che il passato recente e remoto dimostrino il contrario. La pace portata dai missili si rivela effimera e genera le condizioni di nuovi e più feroci conflitti.

La tragica lezione della Seconda guerra mondiale – nata proprio sugli sconquassi generata dalla Prima e dalla pace-clava di Versailles – aveva fatto prendere coscienza al mondo dell’urgenza di limitare mutuamente la forza per evitare uno stato bellico permanente. La comunità internazionale si è riuscito per decenni solo in minima parte ma almeno l’orizzonte era chiaro. Era appunto. Nella neolingua orwelliana della post-verità è la guerra a portare la pace. “La guerra è pace”, diceva il Grande fratello. Nel frattempo, le bombe continuano a cadere.

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