venerdì 30 marzo 2012
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​Caro direttore,
ho letto il suo fondo del 28 marzo ("Non solo cinguettii") e ritengo che aiuti a fare luce nell’oscurità della vita politica italiana. A parte le speranze, comuni, di dar vita a un bipolarismo non più fazioso ma "politico" nel reale senso del termine, la mia attenzione si è concentrata sul riferimento che lei ha voluto evidenziare circa le parole del cardinal Bagnasco sulla natura e sul ruolo dei partiti. Sono andato con i ricordi all’esperienza più che secolare del movimento politico dei cattolici, che, da dopo il 1848 e fino a oggi, è passato per la Democrazia cristiana di Murri, il Partito Popolare di Sturzo, la Democrazia cristiana di De Gaperi e Dossetti, di Fanfani e Moro... Finita la cosiddetta Prima Repubblica, abbiamo avuto in ambito cattolico, come si dice, la diaspora tra le varie espressioni politiche che ha lasciato in vita il solo partito di Pier Ferdinando Casini: l’Udc. Molti cattolici invece hanno deciso di aderire ad altri soggetti politici. Sic stantibus rebus, molti si domandano: perché i cattolici non possono riscoprire un comune sentire e insieme ritrovarsi, non solo per princìpi e valori, ma anche sotto l’aspetto organizzativo? Se è vero che non è un dogma l’unità politica dei cattolici, altrettanto può dirsi che non lo è la loro divisione. Casini in questi mesi più volte ha dichiarato che il suo partito è un momento di passaggio, propedeutico alla costituzione di un più grande "partito dei moderati" che ovviamente non sarà una Dc restaurata (Casini ha anche detto che cambierebbe nome al partito e toglierebbe il suo nome dallo Scudocrociato). Se questa è la prospettiva, che cosa si aspetta ad aprire una fase costituente, rivolgendo ai cattolici impegnati o che vogliono impegnarsi in politica l’invito ad aderire a tale progetto e a dare il proprio apporto? E questi che cosa aspettano a muoversi, riprendendo e rilanciando i valori del "popolarismo" di Luigi Sturzo nel nostro tempo di relativismo culturale, etico e politico, figlio di una cultura agnostica? Con profonda stima.
Raffaele Reina, Napoli
Grazie per l’apprezzamento e la stima che ricambio, caro signor Reina. Sui temi che mi propone ho due piccole convinzioni-constatazioni, affinate in questi anni. La prima è che se davvero si vuole aprire una "fase costituente" nella vita di un partito, non lo si annuncia, lo si fa. La seconda è che il lascito più significativo della deludente stagione della cosiddetta Seconda Repubblica è la dimostrazione che persone di diversa ispirazione, laica o cattolica, possono lavorare insieme e abitare una stessa casa politica, purché ci sia rispetto vero per tutti e non ci sia una strutturale e inconciliabile lontananza nella visione antropologica. Non dimentico, e spesso ho segnalato, certe cadute nella reticenza e nell’insignificanza, ma ritengo assai importante anche la capacità di non pochi politici cattolici diversamente schierati di lavorare uniti quando in ballo ci sono stati i grandi valori non negoziabili, e il fatto che lo si sia fatto spalla a spalla con laici che non si sono arresi alle sirene del relativismo etico assoluto (e quanto ha aiutato, in questo, la straordinaria forza della riflessione di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI...). Detto questo, lei ha ragione: per i cattolici non esiste un dogma di unità politica (anche il partito di Sturzo e quello di De Gasperi e Moro erano partiti "di" cattolici, non "dei" cattolici), ma non esiste neanche il dogma della diaspora. E poi bisogna ricordare che anche in politica le "risposte" che vanno trovate e organizzate hanno sempre una forza propria, ma dipendono enormemente dagli interrogativi che le generano. E i partiti oggi in campo sono tutti, chi più chi meno, un serio (e spesso adirato) interrogativo per noi cittadini-elettori. Per questo credo che il presidente della Cei abbia colto nel segno auspicando un gran lavoro "sui" e "nei" partiti per preparare, dopo questa fase di emergenza e di tregua, un ritorno della politica pieno, partecipato ed efficace nella gestione della cosa pubblica.
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