Più che mai 25 aprile
martedì 25 aprile 2023

Mi capita spesso, da quando sono presidente dell’Istituto della Resistenza di Torino, di sentirmi chiedere: « Ma con tutti i guai che abbiamo oggi in Italia, ha davvero senso soffermarsi ancora su quanto è accaduto ottant’anni fa? Non c’è il rischio di sclerotizzare la nostra discussione e le nostre divisioni secondo parametri ormai superati?». Sarebbe facile rispondere che il passato può essere pericoloso quando di esso si rimane prigionieri. Ma che la Storia è sempre feconda se vi si riflette pensando al presente e guardando al futuro. E spesso insegna.

Un esempio dell’oggi: se ricordiamo quella che fu la questione del Sud Tirolo e delle sue diverse comunità linguistiche e il modo con cui fu risolta dall’accordo De Gasperi-Gruber in poi, ci sarà più facile comprendere quanto sia nefasta l’imposizione di una lingua come strumento di dominio su una minoranza linguistica. E questo ci aiuta a meglio comprendere la guerra russoucraina in corso.

Mi è però ancor più semplice rispondere utilizzando come apologo un episodio che Vittorio Foa amava raccontare. Condannato nel 1935, dal Tribunale speciale, a quindici anni di galera come organizzatore di Giustizia e Libertà, Foa ne era uscito nell’estate del 1943, grazie alla caduta di Mussolini, con il fisico fiaccato da otto anni di carcere duro.

Dopo una vita trascorsa in battaglie politiche e sindacali nelle fila della sinistra non marxista, nel 1987 Foa era stato eletto senatore della Sinistra indipendente. Il primo giorno di convocazione del Senato incontra, in un corridoio, Giorgio Pisanò, ex combattente della Repubblica sociale e poi indomito militante missino. Pisanò gli va incontro dicendogli: «Caro Foa, dopo tanti anni di battaglie su fronti opposti, ci troviamo qui in Senato, a servire lo Stato pur con le nostre diverse idee. Possiamo stringerci la mano?». E Foa: «Certo, possiamo stringercela. L’importante è ricordarci che lei è qui, in Parlamento, grazie alla Costituzione; e la Costituzione c’è perché abbiamo vinto noi. Se aveste vinto voi, io sarei rimasto in galera e lì sarei morto».

Per questo è giusto ricordare il 25 Aprile come data fondativa della nostra nazione e dell’Europa libera. Quando nell’agosto 1946, alla conferenza di Parigi, Alcide De Gasperi si rivolse agli altri leader europei con il celebre incipit – «Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me» – sapeva che sarebbe stato ascoltato con rispetto, anche perché tre anni prima l’organizzazione della Resistenza (partigiana e del primo embrione del nuovo Esercito italiano) contro l’occupante tedesco aveva difeso l’onore dell’Italia. Aveva affermato che non tutti gli italiani stavano con l’Italia che nel giugno 1940 aveva pugnalato la Francia già in ginocchio.

Per non dimenticare tutto questo, basti una domanda: se nel ‘40, dopo Parigi, anche l’Inghilterra fosse crollata; se non ci fosse stata la battaglia di Stalingrado; se nel ‘45, anziché l’Europa di Schuman, De Gasperi, Adenauer, Spaak e Spinelli avessimo avuto un continente dominato da Hitler, come sarebbero state le nostre vite?

Il rispetto e la pietas per tutti i morti – anche di chi, per convinzione sincera e più spesso per costrizione, si trovò a militare nelle fila della Rsi – non potrà mai far dimenticare che, dopo l’8 settembre 1943, c’era una sola parte giusta: quella dei Resistenti. Lo capirono bene, in quei mesi, gli uomini e le donne di Chiesa che, esercitando il principio della carità nei confronti di tutti – in una quotidiana e infaticabile opera di aiuto alle persone, di facilitazione allo “scambio” di prigionieri, di tentativi disperati di strappare giovani ai plotoni di esecuzione – non posero mai sullo stesso piano libertà e oppressione, democrazia e dittatura. Non a caso, la Repubblica sociale di Mussolini non venne mai riconosciuta dalla Santa Sede.

Perché – come avrebbe scritto Arturo Carlo Jemolo – la vittoria dei tedeschi non avrebbe significato semplicemente il prevalere di una potenza sull’altra, come era stato con la Grande Guerra. Con la vittoria della Germania e dei suoi alleati-sudditi il nazismo si sarebbe imposto come legge di vita su tutto il mondo. E quella legge non avrebbe lasciato spazi di libertà e di autonomia neppure alla famiglia e al cittadino più distanti dalla politica.

Un importante politologo ha recentemente osservato che la sinistra pretende che il 25 Aprile sia la festa di tutti ma poi la mantiene gelosamente come festa propria. La sinistra dovrebbe tenere a mente questo rilievo; come non sempre ha fatto in passato. Dal canto suo, la destra oggi al governo del Paese dovrebbe più spesso ricordarsi l’ammonimento di Foa a Pisanò: il 25 Aprile significa democrazia, Parlamento, diritti di libertà, tutela delle minoranze. Per questo è festa di tutti.

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