mercoledì 14 settembre 2022
Come nel 1929, negli anni Ottanta del secolo scorso o nel 2008, il basso costo del denaro ha alimentato una situazione potenzialmente esplosiva che oggi interessa il mercato dell’energia
Gli aumenti del prezzo del gas riflettono una tensione sui mercati dell'energia che preoccupa gli operatori

Gli aumenti del prezzo del gas riflettono una tensione sui mercati dell'energia che preoccupa gli operatori - Ansa

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«Margin call » è il titolo del drammatico film che racconta le 24 ore che hanno preceduto il crollo di Wall Street del 2008 provocato dalla crisi dei mutui subprime. Margin call è la telefonata che nessuno di noi vorrebbe mai ricevere: un operatore di banca ci dice che la garanzia che abbiamo versato per acquistare 'a prestito' un pacchetto di titoli non è più sufficiente e che dobbiamo rafforzarla trovando altri soldi. Margin call è anche il rischio incombente sulla comunità internazionale dei traders di gas che non a caso fanno riferimento esplicito a questo strumento, in sé uno stabilizzatore del sistema ma in un momento di mercati impazziti una sorta di boomerang, nella lettera che hanno inviato alla Bce nel marzo di quest’anno e reiterato nei giorni scorsi.

La European federation of energy traders apre uno squarcio di verità: i grossisti di gas hanno comprato con contratti a termine a un prezzo, ora il prezzo sale di ora in ora e le banche li chiamano per rifinanziare le garanzie fornite a fronte del credito concesso per l’acquisto. Si tratta di miliardi, pare 1.500 in Europa, che costano in termini di interessi e non per niente i traders chiedono alla Bce, che peraltro ha risposto picche, di avere accesso a un credito di ultima istanza, alla stregua del sistema bancario, come fossero consapevoli del loro rischio sistemico. E forse hanno ragione, almeno a sentire i massimi esperti di questo mercato con ampie zone d’ombra, che oggi tremano di fronte al doppio choc del rincaro della materia prima che trattano e dell’aumento forte e repentino dei tassi d’interesse da parte di Fed e Bce. Non per niente il ministro dell’Economia finlandese Mika Lintila ha parlato di una sorta di nuova 'crisi Lehman', stavolta legata all’energia, e in Germania il governo è dovuto intervenire nel salvataggio di un grosso trader, l’Uniper mentre versa in cattive acque anche la Vng di Lipsia che rifornisce 400 Municipalizzate.

Potrebbe essere, questa, la scintilla che fa scoppiare una malaugurata nuova crisi finanziaria? Il rischio c’è soprattutto dopo l’azione di rialzo dei tassi da parte di Fed e Bce che potrebbe indurre come primo effetto una recessione e come secondo, e più grave, lo scoppio della bolla finanziaria che si sta gonfiando. Del rischio-tassi ha parlato l’economista Gaël Giraud, della Georgetown University, in un lungo saggio pubblicato sull’ultimo numero di 'Civiltà cattolica' e anticipato da 'Avvenire', dal titolo 'Verso una crisi finanziaria globale?'. La risposta, allarmata e allarmante, è purtroppo sì. L’aumento dei tassi, dice Giraud, ci espone «al rischio di un nuovo crollo forse peggiore di quello del 2007-2009».

Come hanno già fatto Stiglitz e Krugman di fronte alle mosse delle-Banche centrali il saggio vede nero. La motivazione è che, nel frattempo, l’indebitamento nel globo ha raggiunto cifre fantasmagoriche e le rate vanno pagate, dal più piccolo mutuo ai debiti pubblici. Basti pensare che il debito privato ha raggiunto il 166 per cento del Pil e quello pubblico, nell’Eurozona, è salito di circa 20 punti dal 2008 superando in molti Paesi quota 100, una volta riservata ai cosiddetti Piigs, Irlanda e basso Mediterraneo, Italia compresa.

Viene in mente il profetico saggio di Human Minsky del 1982. Si intitolava: 'Potrebbe ripetersi? L’instabilità finanziaria dopo la crisi del 1929'. Purtroppo la crisi è tornata con il suo corollario di povertà e di avvoltoi, come li ha definiti Marco Girardo su queste pagine nei giorni scorsi. Non è difficile rintracciare lo schema del Minsky Moment che agisce in tre fasi: inizialmente c’è grande liquidità e tassi bassi, in una seconda fase si avverte la crescita del rischio, in una terza e definitiva salgono i tassi e i flussi di cassa non bastano più per pagare gli interessi sui debiti, così scattano le vendite e cade anche il valore degli asset. Lo zampino del costo del denaro è evidente nella storia delle crisi: a cominciare da Wall Street nel 1929 quando il crollo fu preceduto da un aumento dei tassi da parte della Fed, dal 3,5 al 6 per cento. Stesso copione, come molti ricordano, quando all’inizio degli anni Ottanta del Nocevento la stretta di Paul Volcker portò recessione e fece esplodere i debiti dell’America Latina e, da ultimo, l’aumento dei tassi di Trichet nel luglio del 2008, quando Northern Rock era già fallita.

Le scintille che provengono dal mercato dell’energia atterrano su una immensa quantità di materiale infiammabile che negli ultimi anni i bassi tassi, la liquidità abbondante e l’aumento dei debiti pubblici durante la stagione Covid hanno contribuito ad alimentare. Si guardi, per esempio, il mercato immobiliare: la bolla è certificata da uffici studi come Oxford Economics che in un recente rapporto ha parlato di rischi seri per un mercato immobiliare che è cresciuto del 36 per cento nei Paesi industrializzati dal 2013 al 2021: la Bundesbank qualche settimana fa ha deciso di rafforzare il capitale delle proprie banche in funzione della sopravvalutazione dei valori delle case. Purtroppo non tutti i comparti della finanza come quello bancario sottostanno a criteri di regolamentazione dettagliata e rigida che almeno rappresenta una prima linea di difesa nel caso di una crisi. L’ultimo rapporto del Financial stability board che analizza quello che passa sotto il nome di shadow banking system (sistema bancario fantasma) ci conferma che c’è abbondanza di materiale infiammabile.

L'intermediazione finanziaria non bancaria, spesso senza regole, ha raggiunto oltre i 50 trilioni di dollari, con picchi negli Stati Uniti dove la regolamentazione è molto più bassa che in Europa: alimentata dai tassi bassi questa massa di soldi rischia di risentire del colpo dell’aumento del costo del denaro. La leva, cioè la possibilità di accedere ad acquisti assai superiori al capitale posseduto, è spesso molto alta e la stretta può provocare effetti catastrofici. Pare proprio arrivato il momento di cambiare registro.

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