Per una politica davvero morale
mercoledì 14 agosto 2019

A crisi di Governo in corso e nell’acuirsi del clima da campagna elettorale permanente in cui viviamo, è lecito porsi la domanda: il comandamento di "non dire bugie" vale anche per i politici? C’è chi sostiene di no e cita a proprio vantaggio grandi politici. Otto von Bismark per esempio, che amava ripetere: «Non si dicono mai tante balle come prima delle elezioni, durante le guerre o dopo la caccia». Oppure Winston Churchill che affermava: «Ho detto molte bugie per il mio Paese e nel futuro ne dirò ancora di più».

Naturalmente l’elenco potrebbe essere molto lungo. Eppure possiamo anche ricordare, e anzi dobbiamo farlo, ciò che disse Gualtiero Bassetti, che non è un politico, ma un vescovo e un cardinale, nell’introdurre i lavori del Consiglio permanente della Cei nel gennaio 2018: «È immorale lanciare promesse che già si sa di non riuscire a mantenere o speculare sulle paure della gente». Parole scandire prima dell’ultima campagna elettorale per il Parlamento in carica, eletto appena 17 mesi fa. E quindi conviene prendersi qualche minuto di riflessione, visto che c’è chi reclama elezioni lampo promettendo in caso di vittoria di realizzare una "Manovra delle meraviglie" con tasse ridotte al 15% per milioni di italiani, pace fiscale con lo Stato, nessun aumento dell’Iva e, per sovrappiù, riduzione delle tasse sulla casa.

In primo luogo, c’è da dire che effettivamente la verità non va detta "sempre e in ogni caso". Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che «nelle situazioni concrete è necessario vagliare se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda» (2488). È ovvio, se ci si pensa bene. Se a casa mia entra un uomo che vuole violentare mia figlia è giusto che io non gli dica la verità su dove trovarla perché «nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla» (Catechismo 2489). Ma è giusto trattare il popolo italiano come un potenziale stupratore? Non lo è ed è gravemente dannoso farlo. Perché, mentre la veracità riempie di fiducia i rapporti umani, la menzogna li corrode. Ed è proprio quella la ragione profonda dell’attuale difficoltà nel costruire una convivenza civile nel nostro Paese. La colpa non è dei social, ma della diffidenza che serpeggia tra noi perché nei nostri rapporti c’è poca verità.

Chiunque lavori con altri, sia in una parrocchia sia in un’azienda privata o in un’amministrazione pubblica, sa che la fiducia è possibile solo quando ci sono veracità e trasparenza. Senza trasparenza non si crea fiducia. Le persone vogliono sapere la verità anche quando è scomoda. Il buonismo – qui, sì, che va tirato in ballo a proposito – è letale perché è opaco. I fatti, anche se brutali, sono molto più motivanti che un racconto distorto ed edulcorato della realtà. Politici che non credono questo, ma che senza alcun rossore dicono una cosa e ne fanno un’altra, dilapidano il patrimonio fiduciario del Paese: allontanano la gente dalle urne e, quand’anche ottenessero delle maggioranze, esse sarebbero assolutamente volatili.

La crisi di partiti e movimenti gratificati di grandi consensi e poi rapidamente precipitati nel gradimento degli italiani dovrebbe averci insegnato qualcosa. Che si parli "tantissimo" di un politico o di un partito non significa che attorno a quel politico si siano costruiti saldi convincimenti. Ci ricordiamo della pubblicità del Buondì Motta, quella con l’asteroide che cade e distrugge tutto? Ebbene, quanto fece parlare di sé? Tantissimo vero? Ma "parlarne tantissimo" ha significato "vendere tantissimo"? Ho letto saggi di esperti in proposito che non ne sono affatto convinti.

Secondo alcuni è possibilissimo che quell’azienda abbia fatto una pubblicità che sia riuscita nell’intento di essere guardata, ma che non sia riuscita nell’intento di convincere a comprare il prodotto. Avere grandi successi nei sondaggi, e magari anche nei voti, non significa affatto tenere insieme e motivare il Paese: quello avviene solo quando, giorno dopo giorno, si prende il piccone e si va nella miniera della vita a scavare la vera morale della politica. «La morale politica - come scriveva il futuro Benedetto XVI, l’allora cardinale Ratzinger, in 'Chiesa ecumenismo e politica', p. 144 - consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura: lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera che gli è possibile. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».

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