mercoledì 15 marzo 2017
Piazza Duomo a Milano (Fotogramma)

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Caro direttore, ormai è chiaro, in tutti i Paesi occidentali ci sono due sfide. Quella tra i sostenitori, pur con mille sfumature, della globalizzazione economica e dell’integrazione politica tra gli Stati e chi le contesta, in nome di un sovranismo nazionale. E quella tra i supporter della democrazia rappresentativa e chi parteggia, oggi in modo populista e con dosi di antipolitica, per la democrazia diretta, possibile soprattutto attraverso il web. Siamo di fronte a due nuovi codici con cui leggere le visioni di fondo della politica e dell’economia, che si sono aggiunti all’alternativa classica tra Stato e mercato. Il partito a cui aderisco, il Pd, impegnerà il suo Congresso nel capire come arginare il crescere dei populismi e dei sovranismi, senza scadere nella difesa acritica di una globalizzazione senza regole e di una democrazia rappresentativa senza governabilità.

E ripensando anche a nuovi equilibri tra intervento pubblico (in economia, come regolatore e nella protezione sociale) e iniziativa privata. A questo dibattito sembra tuttavia mancare un quarto dilemma, espresso per sintesi in forma alternativa: i corpi intermedi vanno sostenuti con specifiche politiche, oppure vanno solo regolati e lasciati alla loro autonoma capacità di sopravvivenza e sviluppo? Finora, in Italia, è prevalsa questa seconda scelta. Eppure, da sempre e anzitutto, il cittadino trova senso e soddisfazione quando si identifica e trova protezione nei luoghi della vita quotidiana e nelle relazioni primarie: famiglia, reti amicali e di vicinato, piccolo commercio, associazionismo, servizi di prossimità, buona amministrazione pubblica locale, lavoro in imprese capaci di coinvolgimento dei lavoratori. Valga la classica metafora del sasso nello stagno: la persona, per cerchi concentrici, ha bisogno anzitutto di legami forti, di luoghi prossimi in cui identificarsi e a cui affidarsi, anche di fronte ai rischi e alle fatiche della vita. Lo Stato nazione, la democrazia rappresentativa e la globalizzazione delle merci e delle persone sono i cerchi concentrici più larghi: non alternativi, ma vengono dopo.

Servono dunque politiche (non solo regole, ma anche risorse significative) per la natalità, la famiglia, la genitorialità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; nuove gestioni dei servizi pubblici locali affidate al Terzo settore ma anche ai fruitori di quei servizi; un’agricoltura e un commercio di prossimità non soffocati dalla grande distribuzione; la riscoperta di un artigianato dei mestieri; un’accoglienza diffusa degli immigrati che coinvolga il civismo locale; imprese a forte impronta comunitaria; un municipalismo più efficiente e non parcellizzato; un recupero delle terre marginali, di montagna e dei borghi a rischio di abbandono. L’elenco potrebbe continuare, ma qui basti la visione: per combattere il populismo serve un nuovo protagonismo dei cittadini nella risposta ai loro bisogni primari. Per combattere i sovranismi serve poter contare su luoghi, organizzazioni e persone più vicine, capaci di accoglienza e orientate alla mutualità. Non si vuole un comunitarismo autosufficiente e non si tratta di una diversa interpretazione della 'decrescita felice'; c’è invece bisogno di un nuovo equilibrio tra Stato, mercato e formazioni intermedie, senza il venir meno delle conquiste di protezione sociale pubblica. In sintesi: i vantaggi della globalizzazione, dell’integrazione tra le nazioni e della democrazia rappresentativa non possono fare a meno dei cerchi concentrici che li precedono nella vita quotidiana dei cittadini. Le illusioni del populismo e del sovranismo crescono soprattutto laddove i corpi intermedi sono deboli o rinsecchiti. Questa è l’idea di fondo che, insieme a diversi colleghi parlamentari, vorremmo entri a pieno titolo nel dibattito congressuale, a cominciare dal prossimo appuntamento del Lingotto.

*Vicepresidente del gruppo del Pd al Senato

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