Pensare e capire il paradiso (per desiderarlo)
sabato 21 novembre 2020

Perché il Paradiso ci attira così poco? Come immaginarselo? Il cristiano si trova di fronte a queste domande ogni qual volta arrivi il momento di contemplare le 'cose ultime' come avviene nel mese di novembre. Morte, giudizio, inferno, purgatorio, sono molto chiari ai nostri occhi, ma per quanto riguarda il paradiso è molto difficile andare oltre le famosissime parole di Paolo (1Corinzi 2,9) «cose che occhio non vide, né orecchio udì, quelle Dio ha preparato per coloro che lo amano».

Anche se schiere di esperti si impegnano a sostenere il contrario, quasi tutti gli studenti si annoiano infinitamente alla lettura del Paradiso di Dante, mentre si identificano senza difficoltà nella passione amorosa di Paolo e Francesca, o nella vicenda di Ulisse che sfida ogni limite «per seguir virtute e canoscenza». Un motivo, certo, è che facciamo molta più esperienza dei dolori che delle gioie. Le nostre vite quotidiane sono piene di minuscole morti, piccoli giudizi, frequenti purgatori e inferni, ma sono molto avare di paradisi.

Ogni giorno c’è un piccolo tradimento, la chiusura di un rapporto, finiamo in un tribunale immaginario di 'amici' che ci condannano, attendiamo il nostro turno con rassegnazione, o abbiamo una questione dolorosa che ci rende insopportabile la vita, ma non accade altrettanto per le gioie. Però non c’è solo questa difficoltà. L’ostacolo principale a prefigurarsi la vita del paradiso è non riuscire a concepire adeguatamente cosa significhi che anche il nostro corpo parteciperà della beatitudine: un corpo che sarà resuscitato alla maniera del Corpo di Cristo ma che sarà comunque il nostro corpo. Il paradiso dei musulmani sarà colmo di vergini 'dagli occhi neri' e di ancelle con le quali avere rapporti sessuali, invece per Gesù, «i beati che risusciteranno dai morti non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli » (Mc 12,25) e quindi come la mettiamo? Nessun uomo di carne può gioire al pensiero di un’eternità in cui sarà come un angelo, visto che le gioie di noi uomini, come i dolori, vengono vissuti anche nella carne e non solo nello spirito.

La pasta al ragù e il nostro cane che scodinzola felice, ci saranno o no in paradiso? Noi siamo portati a espungere queste gioie dalla nostra idea di paradiso e in questo modo la vita vera esce dalla nostra idea di felicità e lascia il posto a un generico sacro che possiamo ammirare per qualche minuto, ma che non è la felicità di un uomo normale: perché in verità quel sacro, lungi dall’essere cristiano è spesso solo il modo gnostico di intendere la vita. L’affermazione di Gesù per cui i beati saranno 'uguali agli angeli' (cfr Lc 20,36) va letta non nel senso che quello dei beati sarà un corpo 'disincarnato' ma capendo che sarà un corpo talmente perfetto, cioè ' personalizzato', da essere così integrato alle esigenze della persona spirituale quanto lo spirito degli angeli lo è per gli angeli stessi.

Il motivo per cui non riusciamo a immaginare il paradiso è che, non riuscendo a immaginarci quello della vera fede cristiana, immaginiamo quello manicheo. Invece il nostro corpo, che sarà corpo risorto sulla scorta di quello di Cristo, rimarrà corpo, sarà corpo. Il «come gli angeli» detto dal Vangelo non significa che la nostra natura diverrà angelica, ma che la nostra natura umana progettualmente costituita da anima e corpo, sarà così integrata nelle sue parti da avere un’unità così profonda da essere paragonabile a quella angelica (Cfr. Caffarra, 'Sessualità alla luce dell’antropologia biblica', pp. 45-6). «Come abbiamo portato l’immagine dell’Adamo terrestre, così porteremo l’immagine dell’Adamo celeste» (l Cor 15, 49): per pensare al paradiso celeste forse dovremmo pensare un po’ di più al paradiso terrestre. La redenzione del corpo del credente avviene attraverso una partecipazione al corpo risorto e glorificato di Cristo. Quel corpo – ripensiamo al Vangelo di Giovanni (21, 9-14) – che Gesù ha voluto far toccare ai suoi discepoli e che gli ha permesso di mangiare con loro una grigliata di pesce.

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