domenica 6 maggio 2012
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Caro direttore,
sono il legale rappresentante di una scuola (infanzia e primaria) paritaria onlus che, in questi giorni, è tenuta a segnalare alla Agenzia delle Entrate (con tutte le altre scuole paritarie) le rette che superano i 3.600 euro. Si parte dall’ipotesi che le scuole paritarie siano frequentate unicamente da persone facoltose e la tentazione dello Stato di incrociare i dati, alla ricerca di possibili evasori, è sempre molto forte; perché allora non utilizzare le rette che si pagano alle scuole 'private' dei 'ricchi' (anche se una legge dello Stato dice che sono paritarie, vale a dire che svolgono un servizio pubblico gestito da privati), facendo finta di non vedere che le famiglie che pagano la retta per le scuole paritarie, pagano già le tasse per la scuola statale, che non utilizzano?
Ma non è finita qui. Il prossimo anno pare si debba segnalare all’Agenzia delle Entrate non solo l’importo della retta per le ore curricolari, ma tutto quello che una famiglia corrisponde alla scuola per ogni servizio richiesto: mensa, doposcuola, eventuali corsi extracurricolari, che la scuola propone ecc. Infatti, è noto a tutti che chi si permette di mangiare a una scuola paritaria deve essere un bambino benestante, mentre il bambino povero, che frequenta la scuola statale, o non mangia oppure mangia a casa propria (senza spendere?). Da dove saltano fuori, infatti, quei 70/80 euro al mese, che servono per far mangiare il proprio figlio in una scuola paritaria? È certamente un indicatore di ricchezza, che va controllato!
Forse, un domani non troppo lontano, qualcuno si accorgerà che anche se si mangia a casa, qualcosa si spende e proporrà un controllo fiscale a livello familiare a partire da questo indicatore di indubbia ricchezza. Converrà conservare gli scontrini della spesa al supermercato. La stessa cosa vale per il doposcuola. Vuoi mettere la soddisfazione di pagare a casa una baby sitter? Costa di più di un doposcuola, che consente ad entrambi i genitori di lavorare e guadagnare per mantenere la famiglia e avere così maggiori disponibilità per operare scelte con una maggiore libertà?
Non ha importanza. Quello che spendi a scuola, anche se è meno di quello che spenderesti per una baby sitter a casa e magari con maggiori garanzie educative e soddisfazione per i figli, è indice di ricchezza. Indaghiamo. Confido che il suo e nostro giornale si faccia ancora carico di una battaglia, che restituisca onore e giustizia a famiglie ed enti gestori che pagano sulla propria pelle l’umiliazione di un ingiusto sospetto e, di tasca propria, il doppio del dovuto. Cordialmente
Corrado Brizio
 
Sin dal primo momento abbiamo denunciato la logica aberrante che ha portato a considerare le spese sopportate per l’istruzione dei figli non come un indice di civiltà e di libertà e come la dimostrazione di una capacità di cura, di investimento culturale e, spesso, di sacrificio economico da parte delle famiglie, ma come un mero indicatore di ricchezza materiale e, appunto, come un segnale da registrare con sospetto nell’attività di contrasto all’evasione fiscale. Non resisto e mi concedo la battuta: vorrei davvero un Paese pieno di presunti 'evasori' che 'dilapidano' i soldi per mandare a scuola i figli... (Ne avrei un altro paio di battute, ma me le tengo).
Devo dire, caro signor Brizio, che lei torna con incalzante efficacia sulla questione, proponendo, anche con ironia, argomenti e situazioni che fanno riflettere. Spero che riflettano anche coloro che, purtroppo, sono ancora e sempre preda dei riflessi condizionati 'anti-private' quando c’è da parlare del pubblico servizio scolastico, che è svolto principalmente ma non esclusivamente dalle scuole dello Stato e che si avvale, pur tra sempre maggiori difficoltà e inadeguati sostegni, del formidabile apporto (e del risparmio) garantito dalle scuole liberamente istituite da soggetti di diversa ispirazione, cattolici da sempre in prima fila. Ovvio che continueremo a occuparci della 'scuola di tutti', e a batterci perché possa finalmente reggersi e procedere con dignità e secondo giustizia su entrambe le sue gambe: quella degli istituti statali e quella degli istituti non statali paritari. Buon lavoro, e forza! Con viva cordialità.
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