mercoledì 9 marzo 2011
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Caro direttore, abbiamo appena celebrato la centesima festa della donna. E mi sono reso conto che anch’io nel mio piccolo vivo ormai da decenni, sia pure indirettamente, non come protagonista, l’8 marzo. E ogni 8 marzo mi tornano in mente i temi che motivano questa festa e, prima ancora, i fatti storici che hanno portato alla sua istituzione. Fermo restando che il ricordo di quanto è accaduto nel passato è essenziale, vorrei esternare un piccolo pensiero frutto della mia concreta esperienza di vita. Mia madre, fin da quando ero bambino, mi ha insegnato a rispettare qualunque donna – tutte, in ogni caso e condizione, anche le prostitute – sottolineando l’aspetto umano da tenere in primo piano e da salvaguardare sempre, e mi ha dato buone ragioni perché io mi sentissi un po’ 'femminista' pur essendo spesso in netto contrasto con tante idee "femministe" che, soprattutto in certi anni, hanno circolato nella nostra società.Mi chiedo perciò una cosa: e se i genitori, gli educatori e tutti quelli che hanno buone convinzioni sul giusto rapporto uomo­donna si prendessero l’impegno di insegnare a parole e soprattutto con la propria testimonianza che la donna non deve essere oggetto di egoistico godimento, di mercificazione, di sfruttamento, di sopraffazione ecc? E se facessero una buona volta capire che ella è titolare naturale, al pari dell’uomo, di diritti e di doveri, e soprattutto di uguale dignità? E se i cristiani, per la loro parte, tornassero a dire con forza che la donna è anche «tempio dello Spirito Santo»? Se tutto ciò avvenisse, caro direttore, non potrebbe suonare come una vittoria della donna e non potrebbe essere un passo grandioso per la sua celebrazione nel tempo, costruendo solide basi nella cultura e, soprattutto, nell’anima di tutti, uomini e donne?

Giovanni Paolo Marzi, Rieti

Le sue, caro signor Marzi, suonano come domande, ma in realtà sono una proposta d’impegno. Insegnare, testimoniare e vivere il rapporto uomo­donna con la consapevolezza e con la bussola morale che lei descrive significa, infatti, smontare luoghi comuni ed egoismi, presunzioni e amputazioni di sé, strumentalizzazioni e indegni commerci, che purtroppo abbondano del nostro mondo "dispari", per cominciare finalmente a costruire sul serio un mondo 'pari' nel quale quella che io amo chiamare «la stessa altezza e il diverso ruolo» dell’uomo e della donna possano essere davvero riconosciuti e valorizzati. Per i cristiani come noi è una sfida alla quale siamo tenuti a contribuire con tutta la nostra cultura e con tutto l’amore, la libertà e la fedeltà che il Vangelo ci impone. Mi auguro che questo accada e, da padre di famiglia e da giornalista, cerco di fare la mia parte perché sia così. Non sarebbe – non sarà – solo una «vittoria delle donne», ma una vittoria dell’umanità.
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