sabato 16 febbraio 2013
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Cosa possono dire i giuristi della rinuncia di Benedetto XVI al Pontificato? Essa ha una valenza così ricca e complessa, che chiunque possieda una sola chiave per interpretarla non può che avere la certezza di darne un’interpretazione povera e riduttiva. I giuristi, in particolare, sono più di tanti altri consapevoli del limite del loro orizzonte. Chiamati a riflettere sulla rinuncia di Papa Benedetto essi si sentono inevitabilmente stimolati a muoversi sui piani che più conoscono, a concentrarsi sui testi giuridici che regolamentano la rinuncia al Pontificato (come il canone 332, secondo comma, del Codice di diritto canonico o la Costituzione apostolica "Universi Dominici Gregis" del 1996) o a mettere a punto distinzioni di grande rilievo dottrinale, come quella tra potestà di ordine e potestà di giurisdizione. La prima fa riferimento al potere di distribuire i mezzi della grazia divina e si riferisce all’amministrazione dei sacramenti e all’esercizio del culto, la seconda al potere di governare le istituzioni ecclesiastiche e i singoli fedeli. La prima, la potestas ordinis, è conferita attraverso un sacramento, cioè con una consacrazione, ed è quindi assolutamente indelebile; la seconda, la potestas iurisdictionis, non è invece di per sé indelebile; chi riceve questa potestà riceve un mandato che ordinariamente può essere temporaneo e revocabile (anche se può estendersi a tutto l’arco di vita di colui che ne è investito).Nel caso del Sommo Pontefice quella che riceve a seguito della sua elezione è una potestà giurisdizionale particolarissima, in quanto non è revocabile né sottoposta a un termine. Ma, proprio perché è una potestà giurisdizionale, essa può essere oggetto di legittima rinuncia. Così ragionano i giuristi e senza alcun dubbio ragionano bene, su questioni importanti e i loro ragionamenti meritano rispetto. Ma si tratta pur sempre di ragionamenti angusti. La rinuncia di Papa Benedetto possiede un’eccedenza, rispetto a tutte le letture che di essa è possibile dare; più che oggetto, essa andrebbe piuttosto considerata come una fonte di interpretazione, come qualcosa che stimola il pensiero. Non si tratta, evidentemente, di usarla come un’occasione di riflessione dottrinale, più o meno raffinata, quanto piuttosto come un invito a un ringraziamento. Da Papa Benedetto abbiamo tutti ricevuto un insegnamento prezioso, che dobbiamo custodire come si custodiscono i doni più grandi.Il magistero di Papa Benedetto si è sempre infatti concentrato sul tema della verità e sul dovere per tutti i cristiani (e quindi anche per i giuristi!) di farsi testimoni e operatori di verità. Per i giuristi questo insegnamento indica che il diritto non è tecnica, non è mediazione, non è una pratica sociale accanto a mille altre pratiche sociali: è ricerca della verità, di quella dimensione della verità che si manifesta nelle relazioni sociali interpersonali. La tradizione teologica e filosofica ha sempre esortato i giuristi a identificare la ricerca della verità con la ricerca del diritto naturale e sono molto numerose le occasioni in cui il Papa ha richiamato e ha difeso le buone ragioni di questa nobile tradizione teoretica. Ad essa, però, Benedetto XVI ha aggiunto qualcosa di più, che rinsalda questa tradizione e nello stesso tempo la rinnova; nel suo costante richiamo all’ammonimento di Pietro («siate sempre pronti a rendere ragione della fede che è in voi») egli ha richiamato i giuristi al dovere di dare testimonianza del diritto naturale, a intenderlo non come un insieme formale, freddo e in definitiva astratto di princìpi, ma come un insieme di istanze concrete di vita relazionale, fondate non sul nostro arbitrio, ma sulla verità intrinseca alle singole situazioni.Il Papa, in breve, ci ha insegnato che al diritto dobbiamo il rispetto che meritano le cose vive e non le cose morte. La sua stessa rinuncia al Pontificato veicola in definitiva questo essenziale insegnamento, perché ci induce a leggere il Pontificato stesso come servizio vivo alla comunità cristiana e non come paradigma consolidato e congelato da una prassi plurisecolare. Alle tante ragioni di immensa gratitudine, che gli devono per il suo insegnamento, i giuristi devono aggiungere anche questa, che non è tra le più piccole.
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