mercoledì 3 ottobre 2012
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In diversi atenei italiani questa settimana segna l’inizio delle lezioni del I nuovo anno accademico. Al di là dei problemi strutturali, finanziari, amministrativi, organizzativi e valutativi che gravano sulla ricerca, la didattica e i rapporti con la società dei nostri atenei, impegnati nell’attuazione della riforma prevista dalla legge 240, la ripresa dei corsi di studio è un’occasione per tutti – professori, ricercatori e studenti – di riflettere sul significato e sul valore dell’università.È un luogo comune della retorica politica sull’università affermare che il suo compito sia quello di preparare i giovani a un lavoro qualificato, spalancare delle nuove opportunità professionali e far crescere la competitività culturale, scientifica, tecnologica, economica e commerciale del nostro Paese. Con uno slogan usurato: più università, più lavoro e maggior benessere. Ma è proprio così? Il sistema universitario e i suoi strumenti attrezzano gli allievi e i loro docenti ad affrontare il nuovo e l’imprevisto con cui le persone, le imprese e le istituzioni si dovranno confrontare in questo momento della nostra storia nazionale e mondiale, tanto arduo quanto decisivo per il futuro di tutti? Nel 1996, quasi anticipando l’attuale crisi finanziaria, culturale e sociale, il Rettore di una delle più prestigiose università americane, quella di Harvard, scriveva in una lettera aperta agli studenti: «Se pensate di venire in questa università ad acquisire specializzazioni in cambio di un futuro migliore state perdendo il vostro tempo. Noi non siamo capaci di prepararvi per quel lavoro che quasi certamente non esisterà più intorno a voi. Ormai il lavoro, a causa dei cambiamenti strutturali, organizzativi e tecnologici è soggetto a variazioni rapide e radicali. Noi possiamo solo insegnarvi a diventare capaci di imparare, perché dovrete reimparare continuamente».La sfida non è più solo e tanto quella di innestare su una solida formazione di base, che connota la tradizione accademica italiana e la fa apprezzare all’estero, percorsi didattici e di ricerca innovativi e diversificati, capaci di introdurre i laureati e gli specializzati ai mutati e molteplici contesti lavorativi. Si tratta, piuttosto, di recuperare e approfondire la ricca tradizione di educazione critica, di accompagnamento in un percorso personalizzato di trasmissione, ricezione e appropriazione dei 'fondamentali' del metodo della conoscenza della realtà, in ogni regione del sapere, del saper dire e del poter fare. Un metodo che parte dalla coltivazione negli studenti di una domanda curiosa, aperta, libera su tutto ciò che è oggetto del loro studio, e nei docenti di una capacità di provocazione e di ascolto di questa domanda, in un confronto pubblico, a tutto campo, con ogni fattore costitutivo della realtà.Nel 'villaggio globale' dei saperi e della loro comunicazione, dove tutti possono vendere e acquisire nozioni su tutto, se l’università ha ancora un senso e un valore insostituibile, è quello di una palestra della ragione, che allena la mente ad affrontare le questioni che la vita inesorabilmente pone e le competizioni che il lavoro non risparmia, in modo particolare ai giovani. Appaiono più che mai attuali le osservazioni di Romano Guardini: «Il sapere che l’università trasmette dovrebbe poggiare su quella forza dell’interrogarsi e su quella serietà della responsabilità culturale che distingue la scienza dal dilettantismo. (…) Si tratta perciò di creare un tutto che si possa dominare con lo sguardo e da cui sia possibile ricavarne poi un lavoro pratico. Colui che studia in vista della professione deve conservare in se stesso almeno una piccola scintilla della volontà di ricerca, altrimenti egli diventa, intellettualmente parlando, un manovale».Raccogliendo questa sfida, studenti e docenti ricondurranno l’università nuovamente a quel luogo originalissimo della società in cui l’esercizio della razionalità umana gode di tutta l’ampiezza e il respiro di cui ha bisogno per compiere scelte che non si fermano a rammendare gli squarci prodotti dalla crisi dell’economia e del lavoro, ma vanno alla sua radice per sanarla e dare tenace consistenza alla ripresa. Un compito e una responsabilità grande cui solo una università aperta alla realtà totale e appassionata educatrice della ragione può preparare la libertà dei giovani.
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