Padre, madre e il ddl Zan: come le parole vivono e muoiono
giovedì 1 aprile 2021

Gentile direttore,

ho letto la lettera di Nicola Zingaretti pubblicata a pagina 2 di “Avvenire” del 31 marzo. Mi compiaccio dell’iniziativa del “Dopo di noi” attuata a Roma. Vorrei però ringraziare Zingaretti per aver riconosciuto che “Proprio all’impegno delle famiglie, delle mamme e dei papà, e a quello delle associazioni dobbiamo questa bella conquista civile”. Sono molto lieto che non abbia parlato del merito di “genitore 1 e genitore 2”, ma abbia usato quelle parole “mamme e papà” che, a causa della legge Zan, diventeranno parole proibite, escluse definitivamente, anche se a poco a poco, dalla neo-lingua di orwelliana memoria che dovremo usare, per non essere denunciati al Grande Fratello. Mi chiedo se questo rinsavimento del signor Zingaretti sia frutto di un suo errore o del fatto che, liberatosi del fardello della Segreteria del Pd, sia finalmente tornato a parlare la lingua del popolo italiano. Mi auguro che capisca anche l’opportunità di dissuadere i suoi compagni di partito dall’insistere su quella pessima legge, che rischia di sovvertire il modo “naturale” di pensare che l’umanità ha acquisito da millenni.

Luigi Patrini, Gallarate (Va)


La proposta normativa conosciuta come ddl Zan non è ancora legge dello Stato, e ha molti difetti, che su queste pagine abbiamo analizzato ed evidenziato in più occasioni. Ma non ha affatto, gentile professor Patrini, quello di abolire le parole “madre” e “padre”. In ogni caso, ricordiamoci sempre che le parole non muoiono mai per legge o per decreto, ma solo se non le facciamo più vivere. Dipende da noi.

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