venerdì 5 marzo 2010
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In questi giorni si legge tutto e il contrario di tutto sul delicatissimo tema degli organismi geneticamente modificati, meglio conosciuti con l’acronimo "Ogm". A riprova che anche nel nostro Paese l’opinione pubblica è fortemente divisa. La scintilla che ha reso incandescente il dibattito è stata la decisione con la quale la Commissione europea ha dato via libera alla coltivazione di patate Ogm destinate alla produzione di energia e sviluppate dal colosso chimico tedesco Basf. È la prima volta che l’Europa autorizza la coltivazione di una patata Ogm. Anche se sono in molti a credere che gli Ogm possano rappresentare la soluzione per coloro che soffrono a causa d’inedia e pandemie, e sebbene negli Stati uniti siano diventati ormai la norma. Per non parlare della Cina che pare sia pronta al grande balzo con il riso biotech. Non v’è dubbio che la ricerca scientifica in questi anni ha davvero fatto passi da gigante, al punto da mettere in campo manipolazioni tali da consentire, per esempio, ad alcuni tipi di piante di crescere su terreni salini.Se il mondo ha fame di cibo e di energia, qualcuno si chiede come mai vi sia ancora una sorta di pregiudizio nei confronti del biotech, considerando che la ricerca in questo settore potrebbe tradursi in un significativo risultato in termini di produttività anche in aree depresse, richiedendo minori risorse, cioè meno acqua e meno terra. In Europa sono in molti a non volerne sentir parlare, perseguendo allo stremo il cosiddetto "principio di precauzione" contro il rischio di derive sanitarie o ambientali incontrollabili. Produrre Ogm, ecco il punto, significherebbe interferire con i codici della natura, con conseguenze difficilmente prevedibili sull’ambiente e sulla salute umana: dalle allergie indotte, fino all’apparizione di forme di virus e batteri dotati di nuova e sconosciuta aggressività; dalla contaminazione delle altre piante a causa dell’impollinazione, alla caduta della fertilità dei suoli. Da parte sua, il fronte biotech accusa di oscurantismo chiunque si opponga agli Ogm, sostenendo che le nuove tecnologie non fanno altro che riproporre processi che avvengono già in natura; con la sola differenza che grazie all’ingegneria genetica accadono modificazioni mirate del Dna senza dover aspettare secoli per ottenere lo stesso risultato.Chi scrive non è un tecnico, ma la questione è troppo seria perché si possa imprigionare in preconcetti o, peggio, liquidare con atteggiamenti ideologici. Al di là del pur lecito principio cautelativo – che, se applicato, dovrebbe valere per tutti, ricchi e poveri – vi è la questione del business, e più precisamente del diritto di proprietà sulle sementi Ogm. La stessa Santa Sede – come ha sottolineato mercoledì l’Osservatore Romano – non possiede soluzioni tecniche da offrire su questo tema anche se la preoccupazione della Chiesa attraverso il suo Magistero sociale, è che la gente possa alimentarsi in modo soddisfacente, a qualsiasi latitudine, e che soprattutto il cibo non venga mai usato come arma di ricatto.Ed è proprio questo il punto cruciale: la distribuzione di sementi Ogm, nelle aree di emergenza del Sud del mondo, ha di fatto già determinato la mercificazione della solidarietà. Il vero rischio, spesso sottaciuto dalla grande stampa e denunciato dai nostri missionari, è che i prodotti Ogm possano determinare paradossalmente una maggiore insicurezza alimentare, essendo protetti ai sensi delle leggi sui "Diritti di proprietà intellettuale", cioè sui brevetti. I contadini d’Africa, d’Asia o d’America Latina a questo punto dovranno comprare sementi ogni anno e sarà reato ripiantarle. Insomma, sugli Ogm è in atto uno scontro commerciale di proporzioni gigantesche, con forti ripercussioni sul destino della povera gente. E se le compagnie di agrobusiness fossero pronte a rinunciare ai Trips (i brevetti, appunto) nel caso di quei Paesi del Sud del mondo dove imperversano siccità e carestie? Per ora, ai vertici della Fao, nessuno degli addetti ai lavori ha avuto l’ardire di sollevare la questione.
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