mercoledì 17 giugno 2015
​L'opportunità del buon senso
di Ernesto Olivero
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Stiamo vivendo un tempo difficile, come tutti i tempi. È sempre stato così. Anche i romani sapevano che mala tempora currunt. È la storia che si ripete, ma questo tempo è il nostro tempo e, soprattutto, è l’unico tempo che possiamo vivere. Certo, mi piacerebbe poter vivere in un mondo in cui tutti si fermano davanti al rosso, tutti pagano le tasse, tutti concorrono al bene comune. Mi piacerebbe che nessun uomo, nel nome di alcun Dio, possa essere ucciso o pensare male dell’altro. Non sono un utopista o un sognatore. Queste cose nel cuore cerco di viverle e all’Arsenale della Pace sono diventate scelte del cuore e della ragione. Soprattutto, non sono retorica. Sono le basi per progettare e fare un’Italia diversa che dia voce alle sue esperienze migliori, alle sue potenzialità, ai suoi messaggi di bene. Un’Italia in cui destra, centro e sinistra si confrontino sì, ma solo nel nome del bene comune. Un’urgenza attualissima soprattutto quando parliamo di stranieri.Noi italiani non dovremmo mai dimenticare che siamo stati un popolo di migranti. Siamo stati stranieri in mille e mille città del mondo. Penso a San Paolo del Brasile, una realtà che conosco bene, dove abbiamo aperto l’Arsenale della Speranza. Oggi a casa nella vecchia Hospedaria dos migrantes da cui un tempo passarono per la quarantena quasi un milione di italiani emigrati. Anzi, 955.502. Conosco storie di connazionali uccisi, segregati, offesi. Conosco le sofferenze dell’epoca di chi sperimentava sulla pelle quanto fosse difficile essere italiano in Brasile, ma anche in Germania, in America, nella vicina Svizzera. Eppure, so anche quanto noi italiani siamo stati decisivi per lo sviluppo di certe realtà, il contributo che nel corso degli anni siamo stati capaci di dare. Ecco, oggi è come se ci fossimo dimenticati di questo passato. Di fronte alle migliaia di uomini, donne e bambini che arrivano sulle nostre coste, ci dividiamo e ci massacriamo di parole, di polemiche, di rigidità. È la tragedia del nostro tempo che però può diventare un’opportunità. È la cosa che in questo momento mi sta più a cuore. Possibile solo se accettiamo un ragionamento. Prima di tutto sulla nostra fede, sulla nostra cultura, sulla nostra appartenenza. Tra alti e bassi, l’Italia si definisce ancora un Paese di tradizione cristiana. Bene! Ma cosa dice Gesù? «Ero straniero e mi avete accolto…». Ci piaccia o no, abbiamo a che fare con un Dio che si mette nei panni dello straniero. Non è retorica, ma concretezza infinita, una realtà che deve farci tornare in noi stessi, che deve scuoterci, svegliarci. Detto questo, l’accoglienza non è automatica. Non significa accogliere in modo indiscriminato. Accogliere per accogliere, magari lucrando su un sistema in cui troppi affaristi hanno messo radici. Ma farlo nella certezza di uno Stato di Diritto che abbia il coraggio di fissare regole, valori, punti di incontro. Uno Stato di Diritto in cui donne e uomini sono uguali, in cui nessuno può dare all’altro dell’infedele o uccidere chi la pensa diversamente. Uno Stato capace di accogliere darebbe anche l’esempio, sarebbe la dimostrazione – come ha detto il presidente della Repubblica ai giovani del Sermig – «che la democrazia funziona meglio perché capace di accogliere quelli che fuggono. Chi ci vede fare così, forse capirà come si comporta un Paese democratico e che proprio per questo la democrazia è un valore».Io sogno un’accoglienza senza sconti, una accoglienza che comunichi con i fatti ai bambini migranti che la terra dove sono approdati è terra amica. Un’accoglienza così però parte da un patto. Chi è accolto deve entrare nel cuore della nostra Costituzione, imparare subito la lingua, conoscere la nostra cultura. Ha diritti, ma soprattutto doveri. Solo così potrà iniziare un cammino di integrazione. Oggi, salvo rarissime eccezioni, l’Italia non ha accolto così, non ha governato un fenomeno antico e sempre nuovo. E ha sbagliato, perché quando i fenomeni non si governano, semplicemente si subiscono. E lo vediamo nei tanti quartieri ghetto che sono nati nelle nostre città, magari nelle periferie. Il passato lo conosciamo, ma come dico sempre, l’oggi è ancora nelle nostre mani e quello che non è stato può finalmente essere.Non dividiamoci allora! Ogni partito resti partito, coltivi le proprie idee e passioni, ma si faccia un esame di coscienza per sradicare al suo interno la paura del diverso. Perché in molti Paesi del mondo il diverso sono io.
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