domenica 8 aprile 2012
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Caro Marco,
scusa il tono confidenziale. Del resto, questa lettera ti arriva da un collega. Sarei persino tentato di suggerirti il titolo, se fosse da pubblicare (ma non è il caso): «Non di solo Celentano vive un direttore!». Ecco qua. Sono un inviato del gruppo Poligrafici (Carlino-Nazione-Giorno) per i grandi eventi dello sport. Ma questo non fa testo. Fa testo altro. Ho due figlie. Per fortuna, frequentano la parrocchia (…colpa della mamma, che insegna catechismo!). L’estate scorsa, entrambe le ragazze hanno deciso di partecipare alla Gmg di Madrid. E io mi sono accorto (da padre, non da giornalista) che nei giorni della trasferta iberica delle mie figliole, insomma, sui quotidiani che sono abituato a… frequentare o trovavo poche righe o leggevo scempiaggini.
Bene. Una mattina, durante la Gmg, ho comprato Avvenire. Ci credi? Non ho più smesso di leggervi. Recentemente, per lavoro, sono stato due settimane in Australia e in Malesia (mondiale di F1). Beh, a Melbourne e a Kuala Lumpur mi mancavate! Non mi dire che potevo ripiegare sulla versione Internet: alla mia età (52 anni) si ha nostalgia della carta. E mi sono venute in mente tante cose (ahi, queste figlie!). Un Giro d’Italia del 1986. La mia prima esperienza da inviato. Dividevo la macchina con un simpatico vecchietto (ora che ci penso, magari era più giovane di quanto sia io ora) di Avvenire. Si chiamava Mario Forte. Fu lui a farmi conoscere Gino Bartali (al quale, molto tempo dopo, ho dedicato una delle mie biografie, per Mondadori), che credo tenesse una rubrica sul vostro giornale. Perché ti racconto tutto questo? Per ringraziarti. Fate un bellissimo giornale. Uno dei migliori, in questa sgangherata Italia. Ovviamente, non sempre condivido le vostre opinioni, ma come dicono le mie donne in famiglia io sono un cattolico… strano strano. Grazie ancora. E Buona Pasqua.
Leo Turrini
 
Hai fatto tutto da solo, caro Leo: testo e titolo (del resto, conosci assai bene il mestiere). Mi verrebbe da dire che anche la risposta sta già nella tua lettera, disegnata come un cerchio che si risolve generosamente in sé, e dunque non chiede repliche, ma fatti e misura e coerenza. Una vera sorpresa pasquale, che forse proprio per questo pensi sia godibile e impubblicabile («non è il caso», dici). E invece mi va di risponderti in pubblico. Da quasi coetaneo (hai giusto un paio d’anni meno di me) ed egualmente curioso di giornali. Da padre – come te – di due figlie che vanno dove le porta il cuore e quell’ansia di bellezza, di pulizia e di bontà che anch’io cerco d’insegnare loro come parte integrante del mai facile eppure dolce cammino verso la verità di Cristo, vero Dio e vero Uomo. Da innamorato esigente di questa nostra «sgangherata Italia», di questo nostro ingiusto e meraviglioso mondo e di questo nostro giornale che dell’Italia e del Mondo e della Chiesa prova ostinatamente e sensatamente a farsi specchio. Questo giornale che ho cominciato a leggere da ragazzo e che – dopo qualche non inutile giro per redazioni – è diventato anche il mio lavoro e il mio pane.
Mi piace l’idea che tra le pagine di Avvenire, dentro i nostri 'pezzi' di cronaca e di vita, tanti si possano sentire a casa, pur restando lettori e credenti (o anche no) inquieti, anzi proprio perché sono uomini e donne che non si accontentano. Mi piace sapere che pure un solare «cattolico... strano strano», che non sempre e non comunque condivide le opinioni che liberamente esprimiamo, vorrebbe sfogliarci persino all’altro capo del mondo.
Sei un collega, e sai che scoprire qualcosa di così diretto e profondo sui tuoi 'dirimpettai', coloro che con occhi sempre speciali leggono il giornale che fai ogni giorno, ti emoziona e ti dà la carica. Grazie, allora, per questa sorpresa, a nome di tutti i colleghi. Grazie davvero. A te, a tua moglie e alle tue figlie auguro una serena e buona Pasqua. E la auguro di cuore a tutti. Perché Gesù Cristo è risorto, cari amici lettori. È veramente risorto.
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