mercoledì 18 gennaio 2012
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Caro direttore,secondo il ministero dell’Economia, tra gennaio e novembre del 2011 le entrate tributarie sono aumentate dello 0,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ciò grazie anche ai proventi dei giochi e in particolare dei 1.504 milioni di euro (+31,8%) che lo Stato ha incassato in più dal lotto. È un dato che ci deve far riflettere. Pur essendo in periodo di crisi, coloro che sperano nella fortuna sono sempre più numerosi. Le persone, in disagio economico, giocando acquistano anche la speranza e un sogno di felicità. Per Benedetto Croce il lotto era un consolatorio «oppio della miseria». La speranza aiuta a vivere... Fatto sta che le entrate dello Stato per giochi e lotterie aumentano di anno in anno con l’aumentare della povertà. L’Italia non ha una valida strategia per il sostegno alle famiglie in difficoltà. E con la recessione i poveri sono aumentati ulteriormente. Perché non destinare, allora, i maggiori incassi realizzati dallo Stato con la "tassa sulla povertà" al sostegno delle categorie più deboli?
Angelo Ciarlo, Napoli
Capisco e condivido la sua amarezza e anche lo spirito della sua proposta, e provo a stare… al gioco. Perché non salvare capra e cavoli rendendo trasparente e stabile la destinazione di solidarietà delle entrate garantite dall’azzardo legale? Già, perché? Ma perché, per esempio, possiamo immaginare purtroppo benissimo gli spot che ci pioverebbero addosso: volti e situazioni di persone malmesse accompagnati da slogan tipo "Più giochi, più li aiuti" o "Punta al tesoro, vinci per te e per loro" o, ancora, "Se dài i numeri, dài anche a chi ha meno"… No, grazie. Altrimenti, caro amico, come e quando potremmo sperare di uscire dal circolo vizioso che rende aspra e brutta persino una parola bella e dolce come gioco? Quando diciamo che bisogna scommettere con e per la famiglia, pensiamo a ben altre scelte. La "tassa sui poveri", come anche lei la chiama, è meglio farla sparire che azzardarsi a nobilitarla… Ci vuol tempo, certo, e la corrente va in senso inverso a quello giusto, ma rassegnarsi non si può proprio.
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