giovedì 6 ottobre 2011
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La fiducia è sempre stato un fattore decisivo dell’economia e del mercato. L’elemento nuovo di questi tempi di crisi è il ruolo cruciale della fiducia non solo per la singola impresa o banca, ma per gli Stati. Se le agenzie di rating danno voti di affidabilità anche ai debiti pubblici di un Paese, ciò mette in crisi il rapporto tra economia e politica, e quindi ci costringe a ripensare la natura della sovranità e della democrazia. E questo è destinato a diventare il tema centrale del dibattito pubblico dei prossimi anni. Non stupisce, allora, che le istituzioni europee abbiano subito voluto annunciare che il declassamento di Moody’s non cambia nulla nell’affidabilità economico-finanziaria dell’Italia: ciò che però conta veramente è se i mercati crederanno più alla politica europea o alle agenzie di rating. Per ora questo ultimo declassamento non ha avuto effetti nei mercati, ma non credo che le dichiarazioni delle istituzioni europee saranno capaci di rassicurare i mercati per lungo tempo. Stiamo vivendo una fase di attesa, che durerà ancora per poco.

Non dobbiamo perciò continuare a commettere l’errore di sottovalutare, sia in Italia che in Europa, il valore di questi declassamenti, che vanno presi seriamente, e non rinviandoli al mittente. È fin troppo ovvio che Moody’s e le altre agenzie di rating sono una via di mezzo tra arbitri e giocatori, poiché i loro proprietari sono anche importanti attori del mondo della finanza e della speculazione. Certo, sarebbe molto meglio, e fortemente auspicabile, che nascessero presto agenzie di rating espressione della società civile internazionale, che non debbano rispondere ad azionistifor-profit ma siano istituzionalmente tesi alla promozione del bene comune. Ma per ora queste nuove agenzie civili di rating non ci sono, né sono all’orizzonte, e non ci conviene delegittimare i messaggi che ci inviano Moody’s e le sue sorelle, soprattutto quando sono più di una e concordi tra di loro.Salvo situazioni veramente estreme, non è mai una scelta saggia, né utile alla crescita individuale e collettiva, quella di screditare chi pronuncia un parere critico nei nostri confronti. Non conviene normalmente ai genitori criticare l’insegnante che dà un brutto voto al loro figlio, non conviene a una squadra di calcio attribuire la sconfitta all’arbitro, non conviene all’imprenditore accusare i clienti di non essere abbastanza intelligenti per capire e acquistare i suoi prodotti. Anche se avessimo degli elementi oggettivi per criticare professori, arbitri e clienti, rimarrebbe vero che delegittimare i loro comportamenti non aiuta a far studiare di più i nostri figli, a giocare meglio e a innovare nelle nostre imprese. Le partite della vita non si vincono lamentandosi e piangendo: queste cose le fanno i bambini, e noi li rimproveriamo. Non esistono complotti di nemici dell’Italia che ci stanno attaccando e screditando.

La realtà dei fatti è che nonostante i timidi segnali di questa lunga estate, la situazione del debito pubblico italiano, e più in generale del sistema economico, industriale e produttivo rimane seria e grave, come dice anche l’enorme spread (374 punti) tra i Bund tedeschi e i Btp, che continua ad essere troppo alto nonostante le parole rassicuranti dell’Europa. Questo spread è molto più di un numerino, perché dice quanto al nostro Paese costa la sua bassa affidabilità. Che cosa possiamo fare allora, se vogliamo prendere sul serio questi segnali? L’acquisto dei nostri Btp da parte della Banca centrale europea non può durare ancora per molto. Poiché questi acquisti stanno svolgendo una funzione sostitutiva della nostra affidabilità, come Paese dobbiamo assolutamente e velocemente recuperare credibilità, dando presto altri segnali di sacrificio e impegno. Nessuno dei protagonisti dell’economia, della finanza e della politica internazionale crede che potremo raggiungere il pareggio di bilancio solo con la lotta all’evasione fiscale: occorrono strumenti più certi ed efficaci, che hanno nomi noti. Eppure alla fine la via è semplice: deve dare di più chi ha di più (patrimoniale) e chi di più dà, più deve avere riconosciuto (fattore famiglia). Dobbiamo, poi, tener presente che l’uscita da questa crisi richiederà diversi anni, lustri, forse decenni, perché essa è il frutto di un modello economico insostenibile. Occorre evolvere verso un sistema economico con meno finanza speculativa e più imprenditori civili, con meno Stato e più società, con meno individui e più relazioni.

Un elemento che può apparire lontano è l’importanza di migliorare la nostra cultura ed educazione economica. La globalizzazione ha veramente cambiato il funzionamento del mondo, dando all’economia e ai mercati un ruolo nuovo e cruciale. C’è bisogno di una nuova stagione di scuole di formazione civica, nelle quali si possa studiare a fondo la nuova economia. Per cambiare questo sistema economico occorre prima capirlo, e per capirlo occorre comprendere linguaggio e le leggi della casa, l’oikos-nomos del villaggio globale.

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