Non il ghiaccio della multa ma un caldo abbraccio
venerdì 11 gennaio 2019

Assaporammo in quei giorni l’amarissimo sapore del limite. Soffrimmo e pregammo insieme ai genitori, ai parenti, agli amici. Ci sentimmo tutti stretti in quella terrificante morsa di ghiaccio, mentre la vita, lentamente, diceva addio, agli imprigionati.

Con loro, per loro, abbiamo gioito e tremato; sperato e imprecato. Accanto a loro, chiusi in un dolore senza confini, c’erano i figli dell’Italia intera, la nostra Italia che nei momenti del bisogno sa ritrovare il filone d’oro della fraternità, della pietà, della condivisione. No, non eravamo soli a essere schiacciati da quella montagna di detriti, di terrore, di ghiaccio; in quel gelo senza luce, che angoscia e che spaventa, c’era un esercito di fratelli.

Commossi fino alle lacrime, gioimmo per i bambini che venivano strappati agli artigli della morte con la maschera di ghiaccio. Constatammo quanta forza porta in sé la solidarietà, quando l’uomo sa farsi fratello di chi non ha mai conosciuto. A coloro che, imperterriti, continuavano a scavare per restituire alla vita almeno qualche vita, avremmo voluto stringere le mani e gridare un “grazie” grande quanto il sole.

Nel setaccio del tempo passa solo la farina dell’amore, tutto il resto è crusca destinata a essere dispersa dal vento della storia. Il mistero della sofferenza e della morte, non si lascia indagare fino in fondo e noi, in quei drammatici momenti, sentivamo sanguinare il cuore. La terra è forte e fragile, non può fare a meno di obbedire alle sue leggi. Anche gli uomini sono forti e fragili, ma pure intelligenti. Non sempre, ma sovente, sanno arrivare prima. Non tutte, ma tante sciagure riescono a prevederle, prevenirle, evitarle. La prudenza non sarà mai troppa quando si tratta di salvare anche una sola vita umana. La sofferenza di quei giorni, dunque, ci affratellò. Il dolore, il limite, la morte fanno cadere le inutili e disastrose barriere dietro cui, spesso, ci trinceriamo. Ci fanno sentire piccoli, impotenti, ci riempiono il cuore di rabbia, di preghiera, di speranza. Chi ha il dono della fede può contare su una forza meravigliosa che viene dall’alto. Può contare su un Padre che non risolve i problemi, ma li condivide.

Tra gli imprigionati senza scampo a Rigopiano c’era Stefano, un giovanotto di 28 anni. I genitori, dopo quelle terribili ore, lentamente, con fatica, ripresero a vivere. Ma, da quando è morto, Stefano non si è allontanato da loro cuore e dai loro pensieri neppure per un istante. Qualche giorno fa sono ritornati a Rigopiano, per lasciare un fiore in quel luogo dove Stefano visse le sue ultime, terribili ore. Le macerie dello stabile sono ancora sotto sequestro, ma il cancello è aperto. Entrano, e vengono denunciati e multati. E noi rimaniamo senza parole. Vexata quaestio. Giustizia bendata, muta e sorda?

O, meglio, giustizia illuminata dalla ragione, dal cuore, dal buon senso? La fede ci fece intravedere, in quelle terribili giornate, accanto ai fratelli congelati, un Cristo di ghiaccio appeso a una croce di ghiaccio. Un Cristo tremante e sofferente. Prigioniero con i prigionieri. Incatenato con gli incatenati. Agonizzante con gli agonizzanti. Non possiamo permettere che quel ghiaccio continui ad agghiacciare i cuori. Il fiore portato a Rigopiano è bello, zeppo di amore e di speranza. Lasciamo che appassisca lentamente. E ritiriamo la denuncia e la multa ad Alessio, il papà di Stefano. Chiudiamo l’imbarazzante “incidente”. Senza polemiche e con un caldo e forte abbraccio fraterno.

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