mercoledì 29 settembre 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro direttore,non ho certamente l’intenzione di ergermi a difensore d’ufficio di Umberto Bossi, ma soltanto di chiosare un’espressione e un episodio che rischiano – in assenza di senso dell’umorismo – di dare la stura all’ennesimo italico "affare di Stato". Ex alunno delle elementari milanesi di via Corridoni – le stesse che frequentarono il grande cattolico Giancarlo Brasca e il regista Lattuada – sin dai lontani anni 1955-1957 ebbi modo di udire e apprendere una frasetta che nessuno tra gli scolaretti della mia generazione poté certo ignorare: «Sono porci quei romani». "Quei" romani – si badi – non "questi" romani (sentite la musicalità dell’ottonario, erede del dimetro giambico? Confrontare, se non si cade nell’irriverenza, en acetum, fel, arundo). Quali romani? Quelli con potenti eserciti, scudi, spade, lance, elmi, cavalli e cavalieri. I romani dell’antica capitale dell’Impero, che perseguitavano i cristiani. I romani di certi polpettoni oleografici del grande schermo.Bossi ha ripetuto una frase innocua, da mettere sullo stesso piano della battuta «Solo Castelli vive» che fu coniata quando – firmati i Patti Lateranensi – cominciarono a circolare le prime auto targate "SCV". «Solo Castelli vive», non già «Se Cristo vedesse», è una frase da me udita, nelle aule del seminario, dalla bocca di un grande uomo di Chiesa, indubbiamente fedele all’autorità ecclesiastica, ma dotato di senso dell’umorismo, monsignor Giovanni Battista Guzzetti (1912-1996). Sono persuaso che un "romanaccio" come Giulio Andreotti sarebbe pronto a ridere per primo della battuta di Bossi e a smorzare i toni di una polemica che rischia di innescare, lo ripeto, l’ennesimo italico "affare di Stato".

don Bruno Bosatra, Milano

Caro direttore,il mio stato d’animo di cittadino italiano è sotto i tacchi per le gravi offese-attacchi di Bossi, rivolte alla città di Roma e all’onore dei suoi cittadini. Il suo ultimo vituperio «Sono porci questi romani», credo vada oltre ogni limite di decenza. Sappia il nostro separatista leghista che i suoi frequenti improperi nuocciono maledettamente al prestigio di tutta l’Italia, Nord compreso. È ora di smetterla! Il ministro si preoccupi piuttosto di varare leggi utili al Paese, anziché perdersi in atteggiamenti insulsi e lesivi. Sono circa tre mesi che assistiamo impotenti al teatrino-giochetto tra Berlusconi, Fini e lui stesso. I nostri governanti escano dalle tenebre dell’approssimazione e dell’incertezza e imbocchino la via giusta per realizzare progetti davvero orientati al bene comune.

Franco Petraglia, Cervinara (Av)

Mi colpisce, caro don Bruno, la sua finezza nel "leggere" la struttura della vecchia e greve «frasetta» inopinatamente portata all’onore delle cronache politiche del terzo millennio da Umberto Bossi. E, per quel che vale, aggiungo che anche a me pare di conoscerla da sempre, certo dalla mia frequentazione delle scuole elementari. Concordo dunque con lei nel giudicarla, in sé, nulla più di una innocua boutade. Credo che molti italiani nel riudirla avranno provato la stessa nostra sensazione di già sentito e, forse, anche un po’ di nostalgia per certe battute di un tempo: cattivelle eppure bonarie, comunque mai piegate alla demagogia e cariche di ingiustificabile e aggressivo politicismo. Mi pare però, gentile e reverendo amico, che proprio qui stia buona parte del problema. E arrivo a capire, perciò, il lettore Petraglia che lo pone con forse eccessiva indignazione, ma con giustificata urgenza. Il problema sta nell’uso contundente di quell’«ottonario» (peraltro metricamente guastato in un non cantabile «novenario»...) e in certe toppe peggiori del buco messe tra ieri e oggi. Riti di una politica delle chiacchiere lontana anni luce dai problemi veri del Paese. Credo insomma che l’onorevole Bossi, ministro della Repubblica italiana, dovrebbe usare il ruolo che riveste con autentico rispetto per tutti i cittadini italiani e per la loro intelligenza. E vedo che, ieri, questo gli è stato autorevolmente ricordato da più parti e dallo stesso presidente del Consiglio.Anche perché – come ama ricordare quel Giulio Andreotti che anche lei cita, caro don Bruno – «a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca». E più di qualcuno in queste ore ha pensato che nel cuore di «Roma capitale» (come ha definitivamente sancito una legge votata anche dalla Lega Nord) c’è Palazzo Chigi. Se un ministro e leader politico importante spara su Roma, è difficile che non si ricordi che lì c’è il "suo" governo e non sappia di essere all’antivigilia di un cruciale voto di fiducia. Non ci sono battute innocenti in bocca a un uomo di potere. Il Senatùr, da così tanti anni sulla scena, lo sa bene.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI