La missione Ue non può chiamarsi Sophia
giovedì 20 febbraio 2020

Caro direttore,
se ho ben capito, il Consiglio Affari Esteri dell’Ue, presieduto dall’Alto Rappresentante Josep Borrell, ha deciso la ripresa dell’attività della forza navale nel Mediterraneo, di fronte alla Libia, al fine di far rispettare l’embargo sul traffico d’armi. Benissimo, non c’è dubbio. Anche se non siamo ingenui perché sappiamo che le armi trovano sempre il modo di arrivare a chi devono arrivare. Comprendo lo sforzo che i governi degli Stati membri, stimolati dall’iniziativa di Borrell, che è anche vicepresidente della Commissione, stanno compiendo per giungere a una posizione comune e condivisa (come è noto, la politica estera e di sicurezza della Ue ha l’obbligo dell’unanimità).

Non mi sfugge la complessità dei rapporti di forza e la pervicace resistenza delle capitali cosiddette sovraniste. Eppure, non posso non soffermarmi su un punto dell’intesa sottoscritta. Quello che prevede l’interruzione immediata della missione navale nel caso in cui si dovessero creare le condizioni per una ripresa del 'pull factor', cioè il 'fattore di attrazione' per nuovi viaggi di barconi dei migranti. In altre parole: se ci si accorgerà (con quali criteri di valutazione?) che i viaggi dei disperati dovessero aumentare, 'approfittando' della presenza della Marina europea pronta al salvataggio, la missione sarà immediatamente sospesa e trasferita in altre aree.

Certamente, i militari salveranno i possibili naufraghi – lo impone la legge del mare, l’umanità che li anima e l’onore della divisa – ma la sala di comando europeo, dopo una valutazione sulla dimensione del fenomeno, ordinerà alle navi di cambiare rotta. Cosa se ne deve dedurre? Che la Ue, al di là dell’intenzione di bloccare il traffico illegale di armi destinato alle parti del conflitto libico, non riesce a preoccuparsi, prioritariamente, delle persone e cioè del destino di quelle migliaia che stanno nei lager. Ho assistito, attonito, al fatto che l’attuale ministro degli Esteri italiano, si sia oltremodo compiaciuto, in linea con la filosofia dei cosiddetti decreti sicurezza, che approvò insieme al capo della Lega ed ex ministro dell’Interno, del fatto che alla missione sarà imposto l’alt se ci saranno tanti migranti da salvare.

Qualcuno, forse, potrebbe dire qualcosa al ministro, insediato alla Farnesina, che definì «taxi del mare» le Ong che salvano persone che stanno per annegare. L’immagine che resta è quella delle armi, della mobilitazione di mezzi che devono servire a un disegno che passa sopra la testa di uomini e donne che soffrono, muoiono, proprio al di là delle acque internazionali. Per questa ragione, nutro forti dubbi sul successo della nuova operazione Sophia, che poi Sophia – sapienza – non è, e infinita pena per chi attende un gesto di aiuto (e forse si getterà in mare per tentare la salvezza). So bene che la politica, anche europea e internazionale, è ricerca del compromesso ma faccio davvero molta fatica a pensare cosa vuol dire la parola compromesso per migliaia di persone che non vogliono più sentir parlare di armi, di finire nei lager e sotto tortura. E che vogliono, intanto, solo una mano tesa.

Parlamentare europeo Demos-Pd

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