sabato 27 settembre 2014
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​«"Tu sei la mia sveglia" disse il ragazzo. "La mia sveglia è l’età" disse il vecchio». Il vecchio Santiago e il ragazzo Manolin ne Il vecchio e il mare di Hemingway hanno bisogno l’uno dell’altro. Come fossero un’unica cosa, i loro desideri e le loro speranze s’intrecciano. Il vecchio Santiago e il ragazzo che non vuole andare per mare senza il suo navigato maestro, sono archetipi di quel filo sottile e profondo che lega memoria e futuro, generazioni distanti in unica vita. Testimoni inconsapevoli di quel vincolo che tenace solca il tempo, attraversa ogni cultura e fedi religiose e sopravvive tenero e testardo in barba alle crisi familiari, sociali e a ogni odierna «cultura dello scarto». È il filo nascosto che resiste ancora a questa devastante «dittatura dello scarto» che produce «avanzi della convivenza sociale» e implacabile riduce a pezzi la vita, costringendo a lasciare in piedi solo smemorati utili, produttivi funzionali al dio del mercato globale, come fanno le guerre.
Esempi, tuttavia, di quel legame generazionale positivo continuano ad affiorare, come di recente è successo con un noto calciatore della Roma, che ha attirato l’attenzione di tutti quando, dopo il gol, è salito di corsa sugli spalti della tribuna per abbracciare sua nonna. Ma un altro spiazzante esempio ci era già calato addosso dalla Cattedra di Pietro, quando nel primo discorso ai cardinali, il neoeletto Papa Francesco non esitò a citare la sua, di nonna. E più tardi la nominò nuovamente facendo comprendere come essa abbia lasciato in lui «una forte impronta umana e spirituale». Lo fece attraverso il ricordo di alcuni versi di Hölderlin scritti dal poeta tedesco in occasione del compleanno della nonna: «Una lirica che è di grande bellezza, e che a me ha fatto anche tanto bene spiritualmente» ha affermato Francesco. Leggendola si capisce come, in una stretta consonanza di pensiero con il poeta, questa riguardi l’universo Bergoglio non solo nel rimando autobiografico: «E la casa dove un tempo crescevo con le tue benedizioni/ Dove, nutrito di amore, più svelto maturava il fanciullo/ Ah, quante volte ho pensato al piacere che avresti avuto/ Quando mi vedevo operare lontano nell’ampio mondo/... il mio petto lottando si è procurato molte ferite, ma voi me le curate/ Voglio imparare pia e tranquilla è la vecchiaia. Da te voglio venire, benedici ancora una volta il nipote/ Che l’uomo mantenga ciò che il fanciullo promise». «Mi ha colpito – ha spiegato ancora il Papa, in altra occasione – anche perché ho molto amato mia nonna Rosa, e lì Hölderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l’amico della terra che non ha considerato straniero nessuno».
È dentro queste coordinate profondamente umane e spirituali dove s’intreccia osservanza e profezia che si può leggere l’incontro di domani con i quarantamila anziani provenienti da venti Paesi diversi voluto da Francesco come viatico al Sinodo sulla famiglia. Nonni accompagnati da nipoti e tra di loro anche anziani in fuga dal Kurdistan iracheno per comunicare nella reciprocità «quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società». Non una sorta di lectio magistralis sul De Senectute di ciceroniana memoria né la stucchevole retorica sulla vecchiaia. Piuttosto un monito a quanti hanno svenduto la tarda età all’avidità e all’impazienza. Già nel viaggio in Brasile il Papa aveva affermato: «Che il Signore ci doni di invecchiare con saggezza, con sapienza, di invecchiare con dignità per poterla trasmettere agli altri e, anche, di non credere che la storia finisca con noi, perché non è neanche cominciata con noi: la storia continua... Che il Signore ci doni anche un pochino di umiltà, per poter essere anello della catena della vita, della storia del mondo, per scommettere sul futuro desiderando la cosa migliore per i nipoti".
Per il Papa la tarda età è semplicemente quanto anche il puro pensiero classico ci ha trasmesso (l’età degna di essere vissuta delle lettere di Seneca a Lucilio) e l’ha espresso in un lapidario aforisma: «La vecchiaia è la sede della sapienza della vita». Anche nel recente viaggio in Albania ha voluto sottolineare come «gli anziani siano coinvolti nell’edificazione di un futuro che ha bisogno della loro saggezza». In opposizione alla pratica sociale indotta dal mercato di estraniare i vecchi dal proprio tempo e la tentazione senile del cupio dissolvi, ovvero il desiderio malsano del proprio disfacimento. E come ne Il tempo ritrovato, che conclude la Recherche, di Proust le parole di Bergoglio ci riportano così all’incipit. "È stupido non sperare. E credo sia anche peccato", pensa alla fine l’anziano eroe hemingueiano de Il vecchio e il mare. Ma solo, nel suo letto, il vecchio si era lasciato andare, stremato. Il ragazzo accanto lo riprende: «L’uomo non è fatto per la sconfitta» e taglia corto: «Guarda… devi metterti a posto in fretta, perché ho ancora molto da imparare per navigare, e tu puoi insegnarmi tutto». Il vecchio Santiago del racconto di Hemingway era caduto in quel lagnarsi addosso della propria vecchiaia, in quel mugugno senile cui a pochi riesce di sfuggire. Forse per un attimo non ne sarà stato immune neanche il Papa, o almeno, non ne è stato prima di diventarlo. Un mese prima della sua partenza da Buenos Aires per il conclave lo sentii al telefono. Alla domanda: «Come va, padre?» la voce d’oltreoceano rispose: «Come un vecchione». Ma il tempo che tiene in tasca le sorprese di Dio non ha avuto, e non ha – e tutt’oggi si vede – nessuna intenzione di dargli ragione. Un post-it per tutti quei vecchioni che si reputano tali. E domani avranno il ben servito.
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