sabato 16 novembre 2019
Non so se i filosofi saranno d’accordo, ma penso si possa definire l’uomo come qualcuno che ha speranza.
Un dipinto di Safet Zec, particolare

Un dipinto di Safet Zec, particolare

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Non so se i filosofi saranno d’accordo, ma penso si possa definire l’uomo come qualcuno che ha speranza. Papa Francesco per la Giornata dei poveri 2019 – stabilita per oggi: domenica 17 novembre – ha scelto come tema proprio la speranza, quella dei poveri: «La speranza dei poveri non sarà mai delusa». La speranza dice un sbilanciamento verso un compimento, dice qualcosa che c’è, ma anche che ancora non è dato. La persona umana è così: esiste, ma incompiuta, e cerca un senso, una pienezza, una definitività. La nostra vita è un intreccio di speranze, di attese. A volte piccole e banali: come l’attesa delle ferie, di superare un esame, di ricevere un regalo. A volte più significative: la speranza di trovare un lavoro, di guarire, di accogliere un affetto. Ma al di sotto di ogni umana speranza, piccola o grande, c’è – spesso inconsapevole – la speranza di un realizzazione definitiva, di una "salvezza" per sempre.

Solo Dio può dare questo compimento. E il compimento è l’amore. Lui è l’Amore e noi siamo stati creati a sua immagine e somiglianza e solo l’amore ci realizzerà in pienezza. Allora, nel Regno, non ci sarà più bisogno di speranza, come anche di fede, perché l’amore sarà ciò che è definitivo (1Cor 13, 13) e il Dio Amore sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Ora però nel cammino terreno siamo speranza. Non dobbiamo smarrirla: perderemmo noi stessi.

La saggezza popolare afferma che "fin che c’è vita c’è speranza". È vero, ma si può sostenere anche l’inverso: "finché c’è speranza, c’è vita". Quando manca la speranza, manca la vita e la perdita della speranza porta purtroppo spesso a chiudere con la vita. Chi è povero, più di altri può perdere la speranza perché spesso per lui non c’è cibo, vestito, casa, lavoro, salute, futuro. Persino le speranze più piccole e semplici non trovano posto nella vita dei poveri. Eppure ci deve essere una speranza anche per loro e questa speranza non può che essere Dio: per questo «la speranza dei poveri non sarà mai delusa» (salmo 9).

Come Dio è la speranza del povero? Lo è certo perché Lui è l’Amore e il compimento di tutto, ma lo è ancora di più perché Lui stesso si è fatto speranza nel suo divenire uomo. L’amore lo ha portato a diventare speranza. Gesù è il Figlio di Dio che si è fatto uomo e quindi qualcuno costituito essenzialmente di speranza. Anche Lui come uomo ha vissuto nella vita quotidiana di Nazaret le nostre piccole speranze e ha avuto la grande speranza del compimento della promessa di Dio. Ha sperimentato anche la delusione di non essere accolto, di non essere capito, di non vedere i cuori aperti all’annuncio del Regno. Ma ha dato comunque speranza ai poveri. La sua azione a favore dei malati, dei lebbrosi, dei poveri, dei peccatori è stata infatti continuamente un riattivare l’attesa di un compimento dentro il cuore di chi lo incontrava e che Lui soccorreva.

Un agire – quello di Gesù – che non ha certo risolto definitivamente i problemi delle persone che si rivolgevano a Lui: i malati che ha guarito si sono sicuramente riammalati, i poveri sfamati nel deserto avranno ancora avuto fame, i morti che ha fatto risorgere sono andati di nuovo incontro alla morte… Tutta la sua azione è stata un segno del Regno, non ancora il suo pieno compimento. Così però ha riaperto il cuore delle persone a una speranza affidabile, rivelando con i suoi gesti e le sue parole l’amore del Padre che si sarebbe manifestato nella Pasqua e che si rivelerà pienamente nel Regno. Afferma papa Francesco nel suo Messaggio: «Il Dio che Gesù ha voluto rivelare è questo: un Padre generoso, misericordioso, inesauribile nella sua bontà e grazia, che dona speranza soprattutto a quanti sono delusi e privi di futuro» (n. 5).

Ridare speranza attraverso i segni dell’amore. Questo è quanto ha fatto Gesù e questo ci viene chiesto. Ridare speranze in apparenza piccole e limitate: di trovare un tetto sotto cui ripararsi, del cibo con cui sfamarsi, delle medicine per curarsi, un lavoro che dia dignità e sicurezza, una scuola per i figli. Di questo hanno bisogno i poveri. Come sono anche piccoli e limitati i nostri gesti di amore. Ma, afferma ancora papa Francesco: «A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare» (n. 9). Piccole cose, ma sono segni, quasi "sacramento" di un Amore che per noi si è fatto speranza, di un Eterno che si è fatto tempo, di un Infinito che si è fatto finito, di un Ricco che si è fatto povero (2Cor 8,9). È questa la speranza da donare ai poveri, una speranza che non verrà mai delusa.

Carlo R.M. Redaelli è arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana



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