Nessuno mai brevetti il sole
mercoledì 1 dicembre 2021

La ricerca scientifica si sta dimostrando sempre più rilevante in tempi di Covid. Ma attenzione, come il passato e il presente ci dimostrano, l’aumentare delle conoscenze grazie al lavoro dei ricercatori spesso non va di pari passo con la crescita etica della nostra società globalizzata. La conferma viene dal fatto che oggi un continente come l’Africa non è in grado di far fronte all’emergenza sanitaria.

Secondo l’Africa Centres for Disease Control and Prevention, il ciclo vaccinale è stato completato a livello continentale dal 6,66% della popolazione, mentre coloro che hanno ricevuto la prima dose sono il 9,89%. Considerando che gli abitanti dell’Africa sono oltre 1 miliardo 300 milioni, non sorprende affatto che il continente in questione rappresenti un vivaio d’ogni genere di varianti.

La dice lunga la scoperta della nuova variante denominata Omicron, riscontrata in Sudafrica, capace di molte mutazioni e che per questo è subito finita sotto la lente dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che l’ha definita «preoccupante». E dire che il motto dell’Agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile entro il 2030 recita: « No one left behind! ». nessuno sia lasciato indietro. Purtroppo, ancora una volta tra i bei proclami e la realtà drammatica di tutti i giorni c’è un abisso, quello delle diseguaglianze. Le criticità del tema sono note in riferimento al tecnicismo degli accordi Wto e Trips per cui non è facile, in quelle che papa Francesco chiama le «periferie del mondo», accedere ai meccanismi delle «licenze obbligatorie» e delle «importazioni parallele» che consentirebbero di derogare ai diritti di esclusiva e alle royalty previste per i titolari dei brevetti.

La verità è che anche in tempo di pandemia il business continua a dettare le regole del gioco. Infatti, come sottolineato da questo giornale in più circostanze, per il vaccino anti-Covid le aziende farmaceutiche produttrici hanno già potuto beneficiare di ingenti finanziamenti pubblici per la ricerca e l’attuale commercializzazione dei prodotti sta loro producendo ricavi da capogiro. Per dirla con le parole del filosofo Umberto Galimberti, «da quando il denaro è diventato il generatore simbolico di tutti i valori, non sappiamo più cos’è buono, cos’è giusto, cos’è vero, cos’è santo. Capiamo solo che cosa è utile, ma non alla vita, bensì all’accumulo di denaro».

Nel passato non è sempre stato così. Emblematiche sono le testimonianze di due grandi medici virologi del Novecento, Jonas Salk e Albert Sabin, che hanno contrastato quella che i filosofi definiscono appunto «l’eterogenesi dei fini», vale a dire il mutamento del denaro da mezzo a fine.

Tutti e due di origine ebrea, immigrati dall’Europa Orientale negli Stati Uniti d’America e scopritori di altrettanti vaccini contro la poliomielite (uno iniettabile da virus inattivato e l’altro orale da virus attenuato). Entrambi nonostante le pressioni commerciali non vollero brevettarli affinché potessero essere diffusi a tutti, soprattutto ai poveri. Quando Salk venne intervistato da Edward R. Murrow durante una trasmissione tv della Cbs, alla domanda del conduttore su chi avesse il brevetto del vaccino, rispose: «Le persone, direi. Non c’è un brevetto. Puoi forse brevettare il sole?».

Sabin, invece, a chi gli chiese se provasse un desiderio di vendetta nei confronti dei nazisti che gli avevano ucciso due nipotine, rispose: «Il mio vaccino ha salvato tanti bambini d’Europa, non è forse una splendida vendetta questa? È stato il mio regalo a tutti i bambini del mondo anche se molti insistevano che io brevettassi il vaccino». Oggi, si dirà, è tutto molto diverso perché la realizzazione di un nuovo vaccino mette in campo nuove tecnologie, laboratori all’avanguardia, personale altamente specializzato e mesi e anni di lavoro, tutte voci dal costo molto elevato. Appunto, gli affari sono affari anche quando è in gioco la sopravvivenza della povera gente il che è eticamente inaccettabile. Fa pensare ancora oggi che Salk e Sabin non abbiano mai ricevuto il premio Nobel.

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