martedì 27 ottobre 2015
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In democrazia l’alternanza al potere dovrebbe essere un dato fisiologico. Ma il ribaltone politico avvenuto domenica in Polonia – con il trionfo della destra nazionalista ed euro-scettica che (secondo dati non ancora definitivi) ha ottenuto sia pure per un soffio la maggioranza assoluta in Parlamento e con la pesante sconfitta dei liberali centristi che in otto anni di governo avevano garantito al Paese un forte dinamismo e una crescita di oltre il 30 % (unico caso in tutta l’Unione Europea) – rappresenta qualcosa di eccezionale, che apre scenari inediti e pone vari interrogativi. Una prima domanda viene spontanea: perché la Polonia ha girato le spalle al partito del boom economico? Probabilmente per il fatto che, contrariamente alla famosa battuta di Andreotti, il potere logora chi ce l’ha, soprattutto quando viene esercitato in modo cinico ed elitario, senza più motivazioni ideali e con episodi di malcostume e corruzione.  È questa l’immagine che 'Piattaforma civica', il partito liberal-democratico rimasto orfano del suo leader Donald Tusk, divenuto presidente del Consiglio Europeo, ha dato di sé negli ultimi tempi, alimentando lo scontento di tutti coloro che sono rimasti ai margini del miracolo economico: lavoratori con salari troppo bassi, giovani disoccupati e anziani con pensioni da fame. Contro una classe dirigente cieca e orgogliosa ha avuto gioco facile la propaganda suadente di 'Diritto e Giustizia', il partito conservatore che si è proposto come il paladino dell’identità nazionale e della tradizione cristiana e il difensore dei ceti più deboli.  Ha stravinto con un programma tipico della destra sociale, rivendicando l’interventismo dello Stato in economia e promettendo l’aumento del salario minimo, un bonus di 500 zloty, circa 120 euro al mese per il secondo figlio fino al diciottesimo anno e l’abbassamento dell’età pensionabile che il governo Tusk aveva alzato a 67 anni.  Un enorme surplus di spesa che dovrebbe essere finanziato con più tasse sulle attività delle banche e delle grandi società di distribuzione, settori dominati dalla presenza di gruppi stranieri. Si profila così un cambio radicale della politica economica che desta preoccupazione negli ambienti finanziari e negli investitori internazionali.  Ma c’è un’altra questione che ha dominato la campagna elettorale e rischia di diventare motivo di durissimo scontro con l’Unione Europea, ed è l’emergenza profughi.  Paradossalmente la Polonia è toccata solo marginalmente dal problema: non si trova sulle rotte di transito dei migranti e non è un Paese di destinazione finale. Ma l’ipotesi di accogliere 10mila profughi in base al piano di redistribuzione deciso a Bruxelles ha sollevato una polemica furiosa da parte degli esponenti nazionalisti contro il pericolo dell’islamizzazione e perfino di malattie contagiose. Un approccio ideologico simile a quello del premier ungherese Orban, il cui stile autoritario è stato più volte elogiato dal leader della destra polacca, l’ex premier Jaroslaw Kaczynski. Sopravvissuto a tre sconfitte elettorali consecutive, senza più il gemello Lech – il presidente della Repubblica deceduto nella catastrofe aerea del 2010 che lui si ostina a denunciare come un attentato ordito da Mosca –, l’ideologo e massimo dirigente di 'Diritto e Giustizia' è tornato a essere l’uomo che tiene in mano le redini del Paese, con le due più alte cariche istituzionali ricoperte da suoi fedelissimi: il giovane Andrej Duda, eletto a sorpresa Capo di Stato cinque mesi fa, e la 50nne Beata Szydlo, candidata premier di un governo che potrebbe includere anche il partito populista del rockettaro Pawel Kukiz, terza forza politica del Paese. Per la prima volta dalla svolta democratica del 1989 non ci sarà in Parlamento alcun partito di sinistra, poiché l’alleanza tra ex comunisti e anticlericali non è riuscita a raggiungere il quorum necessario.  Il grande interrogativo è se la signora Szydlo, figlia di un minatore e madre di un seminarista, figura stimata per sobrietà ed efficienza, saprà mantenere una certa autonomia dal suo mentore Kaczynski, che ha spesso dato prova di grande arroganza e aggressività. «Cerchiamo la verità e non la vendetta», ha dichiarato il piccolo leader dopo una vittoria più grande di lui. Speriamo che sia davvero così: l’Europa ha bisogno di una Polonia forte, stabile e generosa, senza pulsioni ostili nei confronti della Ue e dei migranti, in linea con la gloriosa eredità di Solidarnosc.
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