venerdì 6 maggio 2016
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L o ammetto: a furia di sentirlo ripetere da tutti, ci avevo creduto anch’io. Mi riferisco alla marcia in più che hanno i cosiddetti «nativi digitali», cioè i ragazzi nati negli ultimi anni, in mezzo a cellulari, smartphone, tablet, web, app e social network. Quei ragazzini che già a 4 anni usano i tablet meglio di mamma e papà e che a 10 anni aggiornano i cellulari ai nonni, scaricando loro le app del momento. Sono i re di app-social come Snapchat, che gli adulti sembrano non poter capire. Immersi come siamo in un mondo sempre più digitale è davvero difficile non invidiarli. Anche se da mia figlia ho imparato che ciò che differenzia un «nativo digitale» da un adulto nell’apprendimento della tecnologia è anche che il primo non ha alcuna paura di sbagliare. Già a 4 anni usa uno smartphone e non si preoccupa del fatto che, con un gesto sbagliato, potrebbe magari cancellare tutta la rubrica dei numeri di telefono. Lei gioca. Tocca, digita, sposta, apre e chiude. Senza paura. E così impara. Gli adulti che invece hanno paura di sbagliare, prima di ogni azione vengono presi dal panico di combinare qualcosa di irreparabile e così spesso restano al palo. Come ho accennato, li invidiavo anch’io i nativi digitali. Finché non mi sono imbattuto in un articolo firmato da Paolo Attivissimo, giornalista e ricercatore svizzero molto preparato sul mondo digitale e informatico. «I ragazzi di oggi – scrive Attivissimo – non si ricordano del mondo prima di Internet, senza cellulari, tablet, Playstation e smartphone e quindi li considerano elementi assolutamente ovvi e naturali della propria esistenza. Eppure tutto ciò non basta per garantire loro l’articolata competenza informatica di cui avranno bisogno nella carriera e nella vita quotidiana». Ci avevate mai pensato? I ragazzi di oggi usano sì la tecnologia, ma nella stragrande maggioranza non hanno la più pallida idea di come funzionino realmente i dispositivi che utilizzano. «Magari si scambiano foto intime tramite SnapChat, convinti che le immagini vengano davvero cancellate per sempre dall’app e non siano recuperabili; si fidano delle promesse di privacy di Facebook, senza rendersi conto che il social network vive raccogliendo e vendendo i loro dati personali. Guardano e riguardano video su You-Tube senza preoccuparsi di quanto traffico dati (e quindi soldi, ndr) risparmierebbero scaricando i loro video preferiti invece di continuare a consumarli in streaming». Insomma, anche se c’è poco da gioire nell’apprenderlo, molti «nativi digitali» sanno sì usare la tecnologia ma la usano in maniera meccanica. Come automi. Cliccano, smanettano, chattano, installano app e quant’altro. Ma lo fanno senza sapere come funzionano «davvero» gli oggetti che hanno tra le mani e senza farsi troppe domande. E questo li rende molto spavaldi ma anche molto fragili. PS. A rendere ai miei occhi ancora più importante l’articolo di Attivissimo è il fatto che sia del settembre 2013. Da allora, non solo le cose sono cambiate, ma per i nativi digitali – per certi versi – sono peggiorate. © RIPRODUZIONE RISERVATA vite digitali
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