sabato 1 dicembre 2012
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Su quanto avviene in queste ore in E­gitto si appuntano, e con giusta cau­sa, gli occhi del mondo. Occorre che questo avvenga, però, per le ragioni che davvero contano, e non per quanto con­viene alla retorica del momento. È inu­tile, per esempio, cercare nella deriva autoritaria del presidente egiziano Mor­si, espressione politica dei Fratelli Mu­sulmani, la conferma di un fallimento della Primavera araba. Al contrario: la protesta contro le decisioni di Morsi di­mostra che la Primavera ha aperto un vaso di Pandora di coscienza civica, pri­ma assente, che sarà impossibile ri­chiudere. Quello che invece deve inquietare è la bozza di Costituzione (da approvare con referendum) che il Presidente ha fatto li­cenziare in fretta e furia da un’Assem­blea costituente popolata solo da Fra­telli musulmani e salafiti dopo l’abban­dono dei cristiani e dei laici per l’evi­dente impossibilità di svolgere un lavo­ro decente. La bozza, all’articolo 2, det­ta: «I principi della sharia (cioè, della legge islamica, ndr) sono la principale fonte della legislazione».
È un dramma perché lo fa Morsi in E­gitto? No, al contrario: è un dramma per­ché lo fanno tutti. Intanto, l’articolo in questione è tal quale a quello presente nel testo dei tempi di Mubarak. La Co­stituzione adottata dall’Iraq ha un arti­colo 2 identico quasi alla lettera. Quel­la dell’Arabia Saudita, all’articolo 1, di­ce: «Il Regno dell’Arabia Saudita è uno Stato sovrano arabo islamico con l’islam come religione; il Corano e la Sunnah del suo Profeta… sono la sua Costitu­zione ». Abbiamo citato per primi due Paesi molto “amici” dell’Occidente, ma se passiamo all’Iran troviamo all’artico­lo 4: «Tutte le leggi e i regolamenti civi­li, penali, finanziari, economici, ammi-­nistrative, culturali, militari e politici… devono essere fondati su criteri islami­ci ». E in Tunisia, dove elezioni demo­cratiche hanno dato la maggioranza al partito islamista Ennadha come in E­gitto ai Fratelli Musulmani, il tentativo di sottoporre le leggi dello Stato alla leg­ge islamica è stato finora contenuto so­lo dalla forte mobilitazione dell’opinio­ne pubblica.
Questo è uno dei crinali più critici nei rapporti con il mondo islamico. È chia­ro infatti che il monopolio della legge affidato a una sola fede, anche se mag­gioritaria, mina alle radici quel princi­pio della libertà di religione che, al con­trario, è uno dei capisaldi della nostra ci­viltà e della nostra cultura. Con quel che poi ne deriva in termini di reciprocità, sia nei rapporti tra cittadini sia nelle re­lazioni tra Stati. Ma non basta.
Restando alla bozza egi­ziana, troviamo che l’articolo 2 è peri­colosamente integrato dall’articolo 4, quello in cui si ribadisce che, in mate­ria di legge islamica, può essere solleci­tato il parere del grande imam di Al Azhar, la moschea del Cairo che è an­che il più prestigioso centro teologico del mondo sunnita. Questo configura non solo la sottomissione della legge dello Stato alla legge islamica, ma an­che la subordinazione del potere giudi­ziario all’autorità religiosa. Mentre noi ben sappiamo che l’indipendenza del­la magistratura è una delle architravi del nostro Stato democratico.
Questo va sottolineato. Perché la viola­zione del principio della libertà di reli­gione, pur gravissima per ciò che sot­tintende, potrebbe in teoria scaricarsi solo sui non musulmani, che peraltro in Egitto sono almeno il 10% della popo­lazione, quindi non pochi. Mentre l’as­servimento del potere giudiziario si sca­richerebbe su tutti, musulmani e non musulmani, senza distinzioni, aprendo senza scampo la strada a un regime au­toritario. In questa battaglia coloro che prote­stano in tante città dell’Egitto non van­no lasciati soli. Perché è una battaglia che in qualche modo combattono an­che per noi.
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