venerdì 31 maggio 2019
L’economia è l’antimagia. Se c’è un valore nella partecipazione degli economisti al dibattito pubblico, è proprio quello di ricordarci costantemente che viviamo in un mondo di risorse scarse...
(Ansa)

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L’economia è l’antimagia. Se c’è un valore nella partecipazione degli economisti al dibattito pubblico, è proprio quello di ricordarci costantemente che viviamo in un mondo di risorse scarse. Ciò vale persino per lo Stato. Il quale può senz’altro fare tantissime cose, ma le fa, sempre, sottraendo risorse ai contribuenti: ai contribuenti di oggi, con le tasse, e ai contribuenti di domani, indebitandosi.

La Modern Monetary Theory (MMT) rappresenta solo l’ultima ribellione contro questa forse triste, ma inesorabile, realtà. La battaglia cruciale consisterebbe nel riprendere il controllo della leva monetaria: il che, nel nostro caso, significherebbe non solo uscire dall’euro, ma sottoporre la banca centrale al controllo del potere politico. Fatto quello, il problema della scarsità delle risorse, almeno quelle pubbliche, sarebbe in buona sostanza risolto. È bene guardare un po’ più da vicino questo abracadabra.

Anzitutto, per un Paese con una propria valuta, non esisterebbero limiti finanziari all’accumulazione di debito pubblico. L’unico limite deriverebbe dall’inflazione. In altre parole, fintanto che esisteranno risorse non pienamente utilizzate, sarebbe possibile spendere in disavanzo fino al punto in cui tutte le risorse sono pienamente occupate. Lungi dal rappresentare un problema, il debito pubblico altro non sarebbe che ricchezza privata.

In secondo luogo, in un mondo di denaro cartaceo, emesso dalla Banca centrale a suo piacere, il disavanzo andrebbe semplicemente monetizzato. La Banca centrale dovrebbe essere al servizio del Tesoro, stampando moneta se e quando necessario. Non c’è motivo alcuno per cui, di fronte ad un programma di spesa, ci si debba domandare 'chi paga?'. Né dovrebbe esserci motivo per dubitare che il governo possa mai onorare i suoi impegni (basta 'far gemere il torchio dei biglietti').

Terzo, le imposte non dovrebbero essere considerate come una modalità di finanziamento della spesa pubblica, ma – oltre ad avere finalità redistributive – come la principale (ma non unica) modalità di controllo delle tensioni inflazionistiche (sottraendo alle famiglie ed alle imprese potere d’acquisto quando ci si avvicinasse al pieno utilizzo delle risorse).

Da ultimo uno schema pubblico di 'occupazione garantita' costituirebbe lo strumento fondamentale e automatico per mantenere il pieno utilizzo delle risorse senza incorrere in tensioni inflazionistiche.

Già da questo breve riassunto è chiaro che la MMT immagina che gli obiettivi delle classi politiche e dei governi coincidano perfettamente con gli obiettivi dei cittadini. Sappiamo che non è così: che l’orizzonte temporale degli uni e degli altri è diverso, che le strutture burocratiche sono governate da incentivi differenti da quelli del settore privato, che i decisori spesso sono 'catturati' da questo o quel gruppo di pressione per fare il suo interesse, e non un sempre sfuggente interesse generale. Ma, a ben vedere, tutto ciò è solo una conseguenza della scarsità delle risorse. È perché le risorse sono limitate che non tutti i fini possono essere egualmente soddisfatti nello stesso momento. Nel Paese di Bengodi, scompare ogni conflitto fra i fini che persegue Caio e quelli che persegue Tizio.

Ma ci sarà una ragione se a Bengodi non è mai arrivato nessuno. Né vale a spiegare la fastidiosa persistenza della scarsità l’egoismo di una classe dirigente arcigna. A dir il vero forse da uno Stato che stampando moneta sostiene ogni progetto, a guadagnarci sarebbero proprio quelli che al potere politico sono già vicini. Tutti coloro che non si trovano in questa situazione, bene o male, per proteggersi possono ricorrere soltanto a architetture istituzionali (ad esempio, l’indipendenza della banca centrale) o regole di comportamento (ad esempio, il pareggio di bilancio) che pongano un argine alle conseguenze negative di scelte di politica economica adottate nell’interesse delle autorità e non della collettività. La MMT vuole semplicemente farne a meno.

Cent’anni fa, Ludwig von Mises ammoniva che «Di norma non è necessario avere una profonda conoscenza dell’economia per capire gli effetti immediati di un provvedimento. Tuttavia, il compito della scienza economica consiste nel prevedere gli effetti più lontani, permettendoci così di evitare di agire nel presente per rimediare ad un male, solo per piantare i semi di un male assai peggiore nel futuro».

Come mostrano chiaramente molti casi del passato e del presente che sembrano aver anticipato gli assunti della MMT (dall’Argentina degli anni 50 al Venezuela dei giorni nostri), le magie dei governi generano gli incubi dei popoli. Soprattutto dei ceti più deboli, che, dopo essersi accontentati delle briciole di aiuti e sussidi che i potenti offrono ad amici e amici degli amici, sono i primi a pagare il conto tramite l’inflazione. Che può essere considerata la più iniqua delle tasse, perché la meno trasparente, oppure solo un’altra partita di giro fra noi e lo Stato, cioè fra noi e noi stessi, come suggerisce l’MMT.

Se esiste una funzione sociale degli economisti e degli scienziati sociali, a noi pare dovrebbe essere quella indicata da Mises: ragionare sugli effetti di lungo periodo senza farsi incantare dalle promesse di straordinari benefici nel breve. O, detto in altri termini, ricordare che non esistono magie, ma solo trucchi.

Istituto Bruno Leoni

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