giovedì 12 giugno 2014
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Li ho visti pelare montagne di aglio per un dollaro al giorno a Tondo, infernale quartiere di Manila, pulire le scarpe per qualche monetina nelle piazze di Città del Guatemala, aiutare i genitori nei campi, sotto il sole, nell’Africa profonda. Decine, forse centinaia di milioni di bambini ogni giorno, nel mondo, lavorano per racimolare quanto serve al sostentamento quotidiano. Molti di loro, purtroppo, lo fanno in condizioni terribili: «esposti – come ha ricordato ieri mattina Papa Francesco durante l’udienza generale – a forme di schiavitù e di sfruttamento come anche ad abusi, maltrattamenti e discriminazioni». In molti casi, il lavoro minorile avviene in contesti di totale (o quasi) mancanza di attenzione alla salute, in ambienti degradati e degradanti. La Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile che si celebra oggi per iniziativa dell’Onu suona come monito contro gli "effetti collaterali" di un modello economico perverso che mina la dignità delle persone. Quando la salute e il futuro dei minori vengono barattati con i meri vantaggi della manodopera a basso costo, è chiaro che siamo in presenza di un fenomeno da governare. Anche in questo caso, però, occorre stare attenti alle trappole della retorica. Nell’opulento (sino ad oggi) Occidente siamo troppo abituati a un tenore di vita alto, che permette ai nostri figli il lusso di andare soltanto a scuola. In molti altri Paesi del mondo, senza le piccole entrate derivanti dal lavoro dei figli, molte famiglie non saprebbero come sbarcare il lunario. La questione, quindi, non è quella di vietare tout court il lavoro agli under 18. Pochi giorni fa, proprio il nostro giornale dava conto della battaglia (vinta) dei ragazzi boliviani che hanno strappato al governo un Codice dell’infanzia che innalza l’età minima di impiego a 14 anni, prevedendo però una deroga per poter lavorare a partire dai 10 anni, a condizione che sia garantita la possibilità di studiare. È la battaglia che da tempo combattono i Nats ("Niños y Adolescentes Trabajadores"), un’organizzazione autogestita di bambini e adolescenti lavoratori, nata negli anni Settanta e oggi diffusa in varie zone del mondo, Italia compresa (con i progetti di Little Hands). Non lasciamoli soli.
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