La perseverante lotta che Fdi conduce contro l’antifascismo
martedì 25 aprile 2023

Arriva sempre un momento in cui è necessario fare i conti con la propria storia. Senza infingimenti, senza sconti, senza ipocrisie. Per questo governo a guida di destra, quel momento è arrivato: il 25 Aprile è un appuntamento importante. Lo è innanzitutto perché la principale forza di maggioranza ha dentro di sé, e come componente-guida, l’ultima generazione, diversi decenni dopo, di quello che fu il Movimento sociale italiano, nato nel secondo dopoguerra per raccogliere repubblichini e nostalgici del Duce del fascismo. Di quel partito, Fratelli d’Italia ha conservato nel sim-bolo la fiamma tricolore e l’orgoglioso senso di appartenenza a una comunità politica che ha attraversato stagioni di ultraminoranza.

Era il 29 dicembre scorso quando Giorgia Meloni, nel corso della conferenza stampa di fine anno, ribadiva che «il Msi ha avuto un ruolo molto importante nella storia della Repubblica». Detto questo, non c’è dubbio che Fdi rappresenti oggi molto altro, tanto da iscriversi nel solco dei partiti conservatori europei, avendo saputo interpretare con successo in Italia, strappando sul campo elettorale il bastone del comando alla Lega di Matteo Salvini, le pulsioni populiste e nazional-sovraniste che sono tornate in auge da qualche anno. E avendo saputo personalizzare l’offerta politica attraverso una leadership carismatica, capace di cavalcare nelle nuove arene del consenso (social e non solo) con disinvoltura ed efficacia.

Questi sei mesi di governo, però, hanno messo in evidenza anche la difficoltà a misurarsi con il proprio ingombrante passato, provocando due diversi tipi di reazione: da un lato un eccesso di zelo nel dover giustificare o enfatizzare o difendere, a seconda dei casi, momenti- chiave della propria vicenda storica; dall’altro il bisogno esplicitato di dover parificare per forza gli uni e gli altri, utilizzando addirittura espressioni impegnative come «riconciliazione nazionale » che invece esigerebbero tempi e modi di confronto lunghi e approfonditi, in Parlamento e nel Paese.

L’ultimo esempio si è avuto pochi giorni fa con le parole, ai limiti della provocazione, del presidente del Senato, Ignazio La Russa, secondo cui «l’antifascismo non è nella Costituzione ». Basterebbe ricordare le disposizioni transitorie e finali che vietano la riorganizzazione del Partito fascista per ribadire con che spirito è stata scritta la Carta, oppure aggiungere en passant i nomi dei padri costituenti, di salda fede antifascista e dal fascismo perseguitati, di tutte le culture politiche e molti cattolici dalle coscienze ben formate.

Ma non si è trattato dell’unico caso: si potrebbero ricordare anche le dichiarazioni sulle Fosse Ardeatine e su Via Rasella per intuire che ogni discorso pubblico sulla memoria della Resistenza rischia di trasformarsi in un incidente (non solo) diplomatico – tra gaffe, autogol e umorismo degno di miglior causa. In questo senso, la rottura netta col fascismo operata almeno a parole nel congresso di Fiuggi da Alleanza nazionale con la “generazione di mezzo”, tra Giorgio (Almirante) e Giorgia (Meloni), quella di Gianfranco Fini, sembra essere finita nel dimenticatoio come ha sottolineato in una sua acuta riflessione su Avvenire.it anche Paola Severini Melograni (qui: tinyurl.com/28uvzmbz).

La filosofia unificante di questo tempo, per Fratelli d’Italia, sembra essere una sola: dichiarare guerra all’antifascismo. È un fatto comprensibile, tanto più che la pretesa di alcuni settori e voci della sinistra di disegnare in solitudine la tavola dei valori della democrazia italiana ha rappresentato e rappresenta un problema: nella Costituzione e nei valori della Resistenza ci si riconosce tutti, senza distinzioni, mettendo in fila eroismi, meriti e anche errori. Però sorprende, in un esecutivo di destracentro, che la voglia di rivalsa sullo storico avversario politico abbia ancora il sopravvento su tutto il resto. Prima di arrivare a conclusioni storiche affrettate, meglio riflettere e ascoltare chi stava dall’altra parte. La parte giusta della nostra storia comune.

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