Maradona e il vero onore di Napoli
mercoledì 5 luglio 2017

«Maradona è megl ’e Pelè », a Napoli non è una frase, e tantomeno un’opinione, ma un inno, un po’ come ’O sole mio’ e ’O surdat nnammurat’. Non a caso è anche il titolo di una canzone, parole e musiche di Bruno Lanza, anche lui pronto a voltare spartito («non gli stringerò la mano») di fronte all'ultima (?) prodezza del grande Diego, nominato cittadino onorario di Napoli: ma dietro adeguato compenso. Non a suo carico, naturalmente, perché l’onore non si compra, o forse qualche volta sì, se proprio il lustro uno se lo va a cercare pensando di non poterne fare a meno. È accaduto così al Comune di Napoli, che non dimentica le sue glorie di casa – cittadina onoraria è dall’anno scorso anche Sofia Loren – e non esita a concedere il prestigio delle sue piazze e la scenografia dei suoi Quartieri per la festa di una griffe di moda: poteva tirarsi indietro di fronte a Maradona?

Per lui, stasera, l’emiciclo del Plebiscito, il 'salotto' buono della città, 32mila spettatori («non uno in più» ha assicurato il prefetto) per le misure di sicurezza. Il trentennale dello scudetto ricordato nientemeno che al Teatro San Carlo, che non è proprio una dependance del San Paolo, non poteva bastare. Maradona come Totò, Eduardo De Filippo, De Sica, il grande Caruso, per stare ai tempi moderni. Napoli è sempre in debito con la sua storia, e figurarsi il Napoli; e quel Napoli che schierava un mito più altri dieci giocatori di media o elevata virtù, ma comprimari a vita e forse della vita stessa, tanto genio e altrettanta sregolatezza del pibe de oro. Ancora oggi Maradona è come un 'padrone' a distanza di Napoli. Ogni volta che mette piede anche solo in Italia, sotto il Vesuvio c’è fermento. Il dibattito ordinariamente fiacco di una città che avrebbe di che parlare – e agire – all’improvviso s’infiamma; e a scendere in campo non sono solo i tifosi ordinari – quelli che dopo lo scudetto lasciarono al cimitero di Poggioreale lo striscione con su scritto: «Non sapete che vi siete perso!» – ma filosofi e intellettuali, quel che resta della classe colta di una città alla quale il ricordo delle gesta del numero dieci continua a dare ossigeno.

E l’appassionato dibattito ora è su questo, la faccenda della cittadinanza dietro compenso: scandalo per qualcuno, anzi molti; moralismo da respingere per altri. Come accade spesso, a dirimere questa sorta di 'questione etica' ecco scendere in campo la squadra degli sponsor, con la palla mandata in corner (saranno loro «a farsi carico delle spese») e la coscienza messa a tacere. Rifugiarsi in corner, scampare cioè al pericolo immediato e vedere poi come cavarsela in qualche modo, è da tempo il modulo che Napoli ha adottato per sé. Non c’entra la squadra che, anzi, predilige un gioco d’attacco e a tutto campo: la questione è della città, e riguarda le attenzioni, le risorse, le energie che è disposta a mettere in campo fuori dal recinto del San Paolo, dove la gara continua a essere sbilanciata. E uno dei sintomi è proprio questa febbre che sale, e che copre, nasconde mali ben più seri e radicati. Oltre al moralismo quando si parla di Napoli l’altra obiezione a portata di mano è quella del qualunquismo: esiste, ed è anche largamente praticato. Ma guai a buttarla in corner anche da questo verso, e condire con il veleno del vittimismo un atteggiamento di resa. La partita che Napoli è chiamata ad affrontare si gioca su un terreno infido che gli uomini del malaffare e bande votate alla violenza cercano di rendere impraticabile. È un campo senza pietà con lo strazio di ragazzetti, poco più che bambini, i muschilli, mandati allo sbaraglio.

Non una febbre, ma un cancro – come più volte ha tuonato il cardinale Sepe – che corrode il tessuto di una città, già lacero e sgranato in più punti: il lavoro è sempre più la porta sbattuta in faccia ai giovani, tanto che perfino qualche eccezione (come la leva di un colosso informatico) appare il beffardo richiamo a una realtà drammatica. E lo stesso boom di un turismo che tra le bellezze di Napoli, paesaggio, cultura, e luoghi d’arte, non rischia certo di annoiarsi, mette a nudo carenze di strutture e servizi non degni di un’antica capitale. Ma è la vita quotidiana a presentare il conto più esigente. È bene tenersi alla larga, come più volte la cronaca ammonisce, dagli ospedali della città – e anche qui con il paradosso di zone di eccellenza. Di servizi efficienti neppure a parlarne: sono, del resto, specchio di una città condannata a vivere alla giornata. A meno che, di tanto in tanto, la storia non esca dal guscio. E allora ecco affacciarsi all’orizzonte il suo 'numero dieci'. Quel « Maradona che è (semp) megl’ e Pele’ ».

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