giovedì 20 ottobre 2011
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Emily Rapp si definisce una madre dragone sul New York Times. E lo fa contrapponendosi alla madre tigre; quella Amy Chua venuta alla ribalta delle cronache internazionali mesi fa per i suoi rigidi e discutibili metodi educativi volti a estrarre il massimo dalle figlie, destinate certo a grandi successi nella vita. Il principale fattore di distinzione fra la madre tigre e quella dragone è infatti che la prima fa tutto per il futuro, la seconda per il presente.A Emily il destino ha concesso un bellissimo bambino, adesso di diciotto mesi, affetto da una rara malattia genetica che non gli permetterà di vivere oltre i tre anni. Con delicatezza, dalle pagine del giornale americano ci racconta la sua esperienza di genitore con un figlio senza futuro e di come il ribaltamento di prospettiva che ne deriva la aiuti a vivere con maggior intensità il presente. Se infatti accompagna il piccolo Ronan in piscina non lo fa per scoprire e svelare un talento olimpico; e se gli lava con cura i denti non è per garantirgli un sorriso smagliante con cui conquistare una ragazza di famiglia bene. Fa tutto semplicemente perché Ronan c’è, adesso.Emily con una certa amara ironia smaschera, di fronte all’enormità della sua situazione, il paradosso dei dubbi che sembrano attanagliare i genitori odierni rispetto ai figli, soprattutto quelli americani. L’allattamento al seno migliorerà le sue funzioni cerebrali? Studiare musica accentuerà le sue prestazioni cognitive? I giochi educativi prescolari gli permetteranno di accedere al college? Fattore comune di queste preoccupazioni è l’evidente pretesa di un ritorno dell’investimento nel futuro. Raramente la soddisfazione è considerata coglibile nel qui e ora.La madre dragone, come ha voluto definirsi, invece non programma né l’happy ending né futuri brillanti, può solo permettersi di vivere il presente. A lei viene soprattutto chiesto di essere fiera, leale e amorevole.Ha ragione poi quando dice che nessuno chiede consigli alle madri così, che evitiamo perché fanno paura: «I genitori che, soprattutto in questo paese, devono essere sovrumani e devono allevare bambini che supereranno tutti gli altri non vogliono vedere quello che noi vediamo. La verità sui loro figli e su loro stessi: che nessuno è per sempre», dichiara con decisione.Ringraziamo davvero Emily per la sua sincera testimonianza. Ci aiuta a non dimenticare che le pediatrie degli ospedali sono piene di madri come lei, che non vediamo solamente perché restano operose nel silenzio e nella discrezione. E forse, come ci ammonisce, anche perché preferiamo ignorarle, così capaci di disturbare col dubbio la nostra attenta pianificazione familiare. Anch’esse sono in un certo senso dei dragoni: fiere dei bambini che hanno ricevuto, leali al compito affidato loro e amorevoli nelle cure che prestano avendo accanto uomini altrettanto coraggiosi che danno loro il cambio dopo notti insonni. Qualcuna poi riesce anche a fare un passo avanti nella coscienza di ciò che accade. Qualcuna riesce a scoprire una verità più grande sui propri figli e su di sé, meno melanconica del puro dato di realtà che nessuno è per sempre. È la scoperta che quel bambino, temporaneamente affidato a lei e al suo uomo, condivide con loro non solo la caducità del corpo, ma l’essere stato voluto e chiamato a una grandezza inimmaginabile.Allora sì che ogni istante riesce a partecipare pienamente di un respiro più grande divenendo fonte di un’apparentemente impossibile soddisfazione. In questo modo può davvero compiersi la conclusione auspicata da Emily: «Essere genitore è amare il mio bambino oggi, ora».Auguri di cuore, madre dragone, a te e al tuo bambino dichiarato senza futuro. Ma anche al padre dragone che speriamo ti stia accanto come risorsa e compagnia. Noi vi auguriamo di iniziare a vivere anche la speranza, che non annulla il dolore, ma lo giudica, che da una parte brama di proiettarsi in avanti, ma dall’altra affonda con decisione le sue radici nel presente. Illuminandolo di senso, ossia indicandone la direzione.
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