sabato 10 novembre 2012
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Dunque l’Inno d’Italia è materia obbligatoria a scuola. Lo ha deciso il Parlamento, con un’apposita legge, la quale prevede che l’Inno di Mameli venga fatto studiare, a diversi livelli, nelle scuole di ogni ordine e grado. Immediata la reazione di alcuni esponenti politici (in particolare leghisti) al grido di «mai più schiavi di Roma» (ma andrebbe ricordato che, a norma di sintassi, nel testo di Mameli, a essere creata da Dio «schiava di Roma» è «la Vittoria», non l’Italia).
Più comprensibile la perplessità espressa dall’Associazione nazionale presidi, dalla quale viene fatto notare come il Parlamento dovrebbe prevedere linee guida e indirizzi generali per l’istruzione, senza scendere troppo nel dettaglio dei contenuti specifici della didattica. Questi ultimi, infatti, sono di pertinenza dei piani dell’offerta formativa dei singoli istituti e delle programmazioni disciplinari dei singoli docenti. Tutto vero. Si ha però l’impressione che la renitenza a far studiare l’inno di Mameli abbia motivazioni più profonde. Si dice, ad esempio, che si tratta di un testo retorico e che non ha senso insegnarlo, nell’Italia del 2012, con quei suoi toni adatti più alla scuola ottocentesca che a quella odierna.
C’è poi, nella cultura italiana, anche un pregiudizio, diciamo così, 'a sinistra' nei confronti di certe celebrazioni di sapore nazionalistico: quello della 'nazione', della 'patria', è stato un mito non solo risorgimentale (e lì era giustificato dall’obiettivo di unire politicamente il Paese), ma anche fascista. A destra si parlava di nazione, a sinistra di internazionalismo. Non è un caso che anche qualche esponente dell’area laica del Pd abbia salutato piuttosto tiepidamente la nuova norma di legge. Sebbene negli ultimi anni, a fronte di certe intemperanze leghiste tutte proiettate sulla secessione, l’idea di un’unità nazionale da difendere paia essere diventata una cosa anche 'di sinistra'.
Alla base di questa discussione, mi sembra però che ci sia un equivoco, cioè l’idea, per la verità piuttosto ingenua, che a scuola insegnanti e studenti siano portati ad aderire dal punto di vista ideologico ai contenuti delle materie di studio. Se così fosse, lo studio sarebbe un’attività tutt’altro che critica. Ma le cose non stanno affatto in questi termini. Ad esempio studiamo l’Iliade, senza necessariamente aderire alla visione eroica dell’uomo greco. Studiamo i classici latini, senza che crediamo in Giove o in Giunone. Studiamo Nietzsche, senza però condividere molti aspetti del suo pensiero. E così possiamo studiare l’Inno di Mameli come documento storico, pur con una sua attualità, come una loro attualità ce l’hanno l’Iliade, l’Eneide e l’opera nietzschiana. Come studiamo la poesia di Carducci senza essere carducciani, e Cuore di De Amicis senza essere deamicisiani.
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