giovedì 22 febbraio 2018
Il movimento scuole gli Stati Uniti e vuole disarmarli. Consensi e critiche verso la grande protesta di marzo
La manifestazione di ieri degli studenti davanti alla Casa Bianca (Ansa)

La manifestazione di ieri degli studenti davanti alla Casa Bianca (Ansa)

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Mercoledì scorso Sheryl Acquarola è rimasta chiusa in uno sgabuzzino della Douglas High School per due ore, stretta a quattro compagni di classe, senza rispondere alle telefonate frenetiche dei suoi genitori per paura che un minimo rumore avrebbe rivelato all’assassino la loro posizione.

Una settimana dopo, la 16enne era nella galleria dell’assemblea statale della Florida, in lacrime, perché i legislatori dello Stato avevano appena respinto, 71 a 36, la proposta di mettere al bando fucili d’assalto come quello che aveva ucciso 17 ragazzi e insegnanti del suo liceo.

Ieri Sheryl e centinaia di altri studenti della sua città, che l’avevano raggiunta nella capitale Tallahassee dopo sette ore di bus, hanno marciato davanti al Parlamento locale per chiedere più controlli delle armi. Alcuni di loro hanno incontrato i rappresentanti dei due partiti e comunicato il semplice messaggio che ha dato un nome al loro movimento: Never again, mai più. Ne abbiamo abbastanza.

I giornali e le televisioni americane, che in questi giorni li tempestano di richieste d’interviste, li definiscono “sopravvissuti”, quelli che hanno corso, si sono rintanati e sono così sfuggiti ai proiettili – come gli oltre 150mila studenti statunitensi usciti vivi da una sparatoria nelle loro classi dal 1999, l’anno del massacro di Columbine, a oggi. Sheryl e i suoi compagni invece si sentono come dei ragazzi normali che, per caso, si sono imbattuti in una causa più grande di loro, che non hanno scelto ma che ora non possono ignorare: quella di togliere le armi dalle mani di giovanissimi, malati mentali e ricercati, e di mettere fuori dalla portata di tutti le mitraglie più potenti, capaci di falciare decine di vite in pochi secondi.

Oggi, negli Stati Uniti, sono loro il volto fresco e idealista di un’opinione pubblica sempre più esasperata dall’immobilismo di una classe politica che dopo ogni strage offre condoglianze, promette cambiamenti e poi, al ciclo elettorale successivo, intasca i contributi della National rifle association, la lobby delle armi. Secondo l’ultimo sondaggio della Quinnipiac University sono ormai 66% gli americani che esigono leggi più severe sul controllo delle armi, il numero più alto degli ultimi 10 anni, ancora più elevato che dopo il massacro di bambini alla scuola elementare di Sandy Hook nel 2013. Forti di questa maggioranza alle loro spalle, adolescenti come Sheryl stanno mettendo in guardia deputati e senatori, locali e federali: vogliono una svolta e non si fermeranno finché non ne vedranno una. Come ha detto un altro studente, Cameron Kasky: «Non lasceremo che 17 proiettili ci abbattano. Andiamo avanti, e guideremo il resto della nazione». Non è un’utopia. La storia mostra che i giovani, con la loro onestà e urgenza morale, possono svergognare gli adulti e costringerli all’azione. Ha funzionato a Birmingham nel 1963, quando 800 studenti neri saltarono le lezioni, sfidarono i manganelli e i lacrimogeni e lanciarono una crociata che aprì la strada ai diritti civili degli afroamericani. Ora gli studenti si stanno sollevando di nuovo, organizzando proteste e scioperi, parlando ai raduni e alla radio e alla televisione per imprimere una nuova direzione all’arco della storia americana.

Quando i ragazzi della Florida e i loro compagni in tutto il Paese usciranno in protesta dalle aule il 14 marzo e quando manifesteranno a Washington il 24, seguiranno le orme di ragazzi che, oltre 50 anni fa, rischiarono la vita per cambiare il Paese, e ci riuscirono.

Le loro azioni stanno già avendo i primi effetti, perché la loro schiettezza rende politicamente insostenibile ignorarli. Sono le immagini martellanti di ragazzi che denunciano lo status quo ad aver spinto Donald Trump a considerare l’idea di imporre il compimento di 21 anni per poter acquistare un fucile: un’età prima della quale negli Stati Uniti non si può bere alcool o fumare. Ma sparare, sì. Il presidente ha anche ribadito di voler vietare il “bump-stock”, un dispositivo che trasforma le armi semiautomatiche in automatiche.

È un segno dell’impatto mediatico della protesta, anche se resta da vedere se agli annunci seguiranno i fatti. Trump aveva già promesso un divieto del “bump stock” a ottobre, e non se n’è ancora fatto nulla. Nessuna delle sue proposte lo mette inoltre in rotta di collisione con la Nra, che ha speso più 30 milioni di dollari per farlo eleggere. «Mi avete aiutato alla grande, non vi abbandonerò mai, mai», ha promesso il presidente alla convention del gruppo l’anno scorso. Il tycoon ha infatti ha compiuto passi negli ultimi 13 mesi per indebolire il sistema di controllo che ora afferma di voler rafforzare.

Ha ridotto ai minimi termini il sistema federale che i venditori di armi devono consultare per assicurarsi che gli acquirenti siano idonei all’acquisto. Ha ristretto alcune definizioni legali, rendendo più difficile classificare gli aspiranti acquirenti di armi come non idonei. I funzionari di Trump hanno cancellato decine di migliaia di documenti delle forze dell’ordine dal database nazionale e ristretto la definizione di malati di mente. E il capo della Casa Bianca ha ritirato un regolamento di Barack Obama che imponeva al sistema sanitario di inserire i nomi di chi riceve pensioni per malattia mentale nel sistema di controllo di background.

La proposta di bilancio di Trump, pubblicata appena un giorno prima del massacro di San Valentino, ha inoltre tagliato i fondi per sostenere lo stesso sistema. È dunque verosimile che Trump faccia con le pistole quello che ha fatto sull’immigrazione. Ha offerto un percorso alla cittadinanza per i “dreamer”, ma solo se otterrà tagli radicali all’immigrazione legale e un muro con il Messico. Poi ha rifiutato di scendere a compromessi.

Gli studenti di Never again affrontano dunque una strada in salita, e se ne sono già accorti. Negli ultimi giorni alcuni di loro sono stati accusati di essere degli attori pagati dai detrattori del presidente, e in alcuni distretti scolastici sono stati minacciati di espulsione se parteciperanno a dimostrazioni durante l’orario scolastico. In altre città, come a Cincinnati, in Ohio, si sono scontrati con i loro insegnanti che si sono rifiutati di sostenere la loro causa. E non solo: centinaia di professori si sono iscritti ai corsi organizzati dallo sceriffo locale su come richiedere permessi per andare in classe armati.

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