sabato 12 settembre 2015
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A sentirla da don Antonio, la storia di Gennaro, 17 anni, di cui ieri a Napoli, nella chiesa della Sanità gremita, è stato celebrato il funerale, è un po’ diversa da quella che abbiamo ascoltato sui tg. Don Antonio Loffredo, parroco della Sanità, stamattina ha la voce di uno che ha pianto. Gennaro, uno dei "suoi" ragazzi, è stato ammazzato nel cuore del quartiere, un paio di notti fa, da un colpo di arma da fuoco esploso da adolescenti in moto, che sono fuggiti. Allora, si è detto che Gennaro aveva precedenti per rapina, si è ventilato un regolamento malavitoso. Come dire: beh, ha fatto quella fine perché era di un certo giro. Ma per don Antonio queste sono le cose che ci si racconta per rassicurarsi: «Sì, aveva 17 anni, ma non era come i nostri figli...». Sono le cose che ci si dice, per scaricarsi la coscienza. E come è andata davvero, invece, gli domandi. E lui racconta che Gennaro, figlio di un ambulante che campa vendendo bandiere davanti agli stadi, aveva sì tentato una rapina, a quindici anni, ma con una pistola giocattolo. Il giudice, vista l’età, lo aveva dato in affidamento ai servizi sociali, e Gennaro da due anni faceva volontariato in parrocchia, con i bambini. Ed era bravo, uno di cui fidarsi.Sabato notte era in piazza, come tutti i ragazzi, al sabato, alla Sanità; è morto perché è stato l’ultimo a scappare, quando hanno sparato, a caso. A caso? domandi tu. Sì, a caso: le bande rivali del quartiere marcano il loro territorio così, passano, sparano, se ne vanno, ad affermare che quella è terra loro. E tu che stai a Milano ammutolisci, perché Napoli è Italia; e però ci sei stata alla Sanità, ci hai dormito, questa estate, in quella casa parrocchiale. All’una di notte la piazza era piena di ragazzini, ma piccoli, anche di dodici anni, e attraversata da un corteo di motorini a velocità folle, sulla sella in tre, naturalmente senza casco, e molti visibilmente poco più che bambini. Un’auto della polizia, di pattuglia, immobile, sembrava un segno di impotenza. Sbalordita eri rimasta a guardare questa enclave nel cuore di Napoli, dove si vive secondo altre leggi – e secondo altre leggi si muore.Don Antonio racconta, ancora, che ieri mattina alle sette la chiesa attorno alla bara bianca era gremita, che molti piangevano, che c’erano le madri del quartiere, e anche i vecchi, pensierosi, turbati. Ma, Antonio, domandi, e allora? Perché sembra, quella della Sanità, una storia infinita, in cui a ogni sforzo buono sempre ritorna addosso, come una condanna, l’eco di spari, una notte: e poi il grido angoscioso di una sirena di ambulanza.Allora, dice questo prete di frontiera – uno che il Papa, un giorno a Roma, ha voluto abbracciare di persona – «allora ci mandassero cinquanta insegnanti, piuttosto che cinquanta poliziotti!». E ora la sua voce è netta. Perché le pattuglie che adesso presidiano il quartiere se ne andranno; e don Antonio sa che rimarrà, nei vicoli, quel mondo di ragazzi, di notte, a piedi, in moto, i capelli al vento delle tredicenni, le facce precocemente dure di certi adolescenti.Educare, è la drammatica urgenza alla Sanità: riprendere per mano i ragazzi che abbandonano la scuola, che non trovano lavoro perché non ce n’è nessuno, che imparano i mestieri della camorra. Educare, è l’emergenza: non nel senso di trasmettere nozioni, ma di dare dei maestri, di offrire a questi ragazzi delle facce di padri, di cui si possano fidare. Come don Antonio, e altri preti come lui, fanno da anni. E anche tu nella sua parrocchia ne hai conosciuti, di adolescenti come Gennaro, ma più fortunati: una rapina, giovanissimi, alle spalle, poi l’affidamento a don Antonio, e ora un lavoro, una ragazza - e già, in braccio, una bambina.Alla Sanità la Chiesa c’è, fedelmente, ostinatamente. Ma, gli altri? Lo Stato, la scuola? «Ci mandassero cinquanta insegnanti, invece che cinquanta poliziotti», dice un prete che ama la sua gente. E per un attimo sogni una, dieci, cento task force di maestri e professori: di quelli veri però, che guardano in faccia i ragazzi, che sanno voler bene. Ma è più facile, il giorno dopo il funerale di un ragazzo di 17 anni, dirsi che era già uno storto, che, purtroppo, è normale sia andata così. E tu che hai dei figli di quell’età ti riscuoti, a te il tuo pare poco più che un bambino; e no, non si può dire, a quell’età, amen, se la è cercata. Don Antonio, un abbraccio, ti congedi al telefono, e dici davvero. Che benedizione certi preti, per strada, giorno e notte – come padri, nelle vie perdute delle nostre città.
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