martedì 22 maggio 2012
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Che il divorzio sia anzitutto un problema di «lungaggini tipiche della giustizia civile», ovviamente da «correggere», lo apprendiamo dal sottosegretario alla Giustizia che ieri rappresentava il governo nel dibattito in aula attorno al ddl sul «divorzio breve». Pensavamo che il divorzio fosse una ferita nella vita di una famiglia e nel tessuto della società, e che dunque lo Stato dovesse tentare il possibile per evitare che quella ferita e quel tessuto si lacerino con troppa disinvoltura, essendo la loro saldezza un evidentissimo bene per tutti. Invece, accanto a partiti e parlamentari che hanno deciso di ritenere il divorzio una pratica da snellire, nemmeno fosse la compravendita di un’auto, abbiamo assistito ieri a un nuovo, incredibile segnale di inconsapevolezza sul valore-chiave della società italiana. Lo ridiciamo: questioni tanto cruciali vengano affrontate in modo meno disinvolto e più responsabile. Agevolare la famiglia e non lo smontaggio-blitz del matrimonio, in un Paese che rischia di frantumarsi in infinite derive soggettive, è una scelta lungimirante. Anche tecnicamente.
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