martedì 13 aprile 2010
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Caro direttore,anche quest’anno, con l’aiuto di Dio, ho partecipato al pellegrinaggio pasquale a Lourdes indetto come sempre dal "Centro volontari della sofferenza" di Brescia. Una settimana in cui ho sperimentato un sovrappiù di doni. Innanzitutto la gioia nel vedere tante persone, giovani e adulti, che ci assistevano amorevolmente fin nei nostri bisogni più umili, prodigandosi soprattutto per chi era infermo e maggiormente bisognoso di assistenza. C’erano perfino bambini e bambine che aiutavano. Ho ritrovato la cara Paola, Giovanni che da quasi dieci anni accompagna la nonna, poi Maria che pure conosco da tanti anni e che già da piccola avrebbe voluto spingere le carrozzelle. Sono tutti amici più contenti di dare che non di ricevere. Ecco, la cronaca bianca si vede in questi luoghi, dove il dolore pare avere il sopravvento. Ma l’aiuto amorevole di questi fratelli allevia la sofferenza e spesso fa affiorare sulle labbra un sereno sorriso. Il sovrappiù si è rivelato il sabato santo, quando abbiamo incontrato il vescovo di Lourdes. Dopo le sue parole, alcuni di noi hanno raccontato la propria esperienza. Prima ha parlato Giada: «Io sono inferma sin dalla nascita, ma Dio, ricco di misericordia, mi ha aiutata ed io sono serena, non per merito mio, ma di Colui che oggi ci ha salvato...». E terminava: «Al mio paese dicono: quella giovane è inferma, ma è più contenta di noi». Poi è stato il turno di Paolo, il più commovente: «Il tempo per me è crudele, ma Gesù risorto mi dà una mano. Sono quattro anni che sono affetto da un tumore. Ma il Signore in questo lungo tempo mi ha donato la sua forza e la gioia di vivere, ricordando che non c’è amore senza dolore». Guardandolo in viso vedevo che davvero, lui come Giada, ha la pace e la forza di Cristo nel cuore. Così, sono tornato a casa con tanta gioia, confermato nella convinzione che chi ha tanto amore verso lo Spirito Santo sa vincere il dolore.

Domenico Marchesi, Vestone (Bs)

Questa è Lourdes, come i nostri inviati hanno già raccontato tante volte. Nessuno spazio per istrionismi di guaritori, per invasati del paranormale o per cercatori di sensazioni forti. Ma fede schietta e semplice, preghiera vibrante, e soprattutto carità. Quella testimoniata dalla dedizione gioiosa che vede i volontari – come quelli che lei , caro Marchesi, chiama per nome – prodigarsi senza risparmio per consentire a chi è malato di vivere appieno tutti gli appuntamenti del pellegrinaggio. Persone che – val la pena ricordarlo per chi non ha familiarità col fenomeno – pagano integralmente viaggio e soggiorno. Tutte esperienze che convergono a dimostrare, e lei bene lo sottolinea, che c’è una «salute» dell’animo che può convivere anche con la malattia del corpo. Un’idea quasi inconcepibile per chi vive di tv e chiacchiere, ma di un’evidenza solare per i milioni di persone mobilitati ogni anno da associazioni come la sua e come l’Unitalsi. All’anno prossimo!
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