sabato 16 novembre 2019
Un’innovativa lettura della Vergine delle Rocce sollecita la riflessione di un circolo di lettori “leonardeschi”: i quali lanciano l’idea di riconoscere al maestro il certificato ufficiale
Lo stupore che Leonardo ci riserva e la cittadinanza milanese
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Gentile direttore,
sempre vivi complimenti per la pagina culturale di Agorà, il 12 novembre in particolare quella a firma di Alessandro Beltrami dedicata a Leonardo da Vinci. Azzeccato il titolo dato alla presentazione del nuovo libro del gesuita Andrea Dall’Asta, dedicato alla Vergine delle Rocce: “Il segreto dell’angelo è in punta di dito”. Lo condividiamo. Leonardo non smette di stupirci in questa prima opera “milanese” realizzata nel 1483 giusto in tempo per la solenne celebrazione dell’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre 1483). Secondo noi il vero stratega di questo capolavoro è l’amico sodale (sottaciuto ai più... ) Cristoforo De Predis... Il sordomuto della famiglia De Predis che era un formidabile miniaturista e amicissimo con Leonardo. Era stato lui a insegnargli il linguaggio delle mani che sarà ampiamente sviluppato poi nell’Ultima Cena. Leonardo è stato capace di fotografare nel dipinto anche la disputa teologica in atto tra domenicani e francescani a proposito della Concezione dogmatica di Maria. Il popolo dei credenti era “meravigliato e stupito”, ma non distingueva bene la figura di Gesù da quella di Giovannino. Per tale motivo, passate le feste di fine anno e a inizio d’anno la Confraternita committente richiese a Leonardo una correzione. Si dovrà attendere fino al 1510-13 quando ci sarà la seconda versione (ora a Londra) con “via il dito” e l’identificazione chiara di Gesù e del Battista con la Croce e con le aureole in testa. Così a noi è parso... Un’ultima cosa: “Avvenire” per favore, ci dia una mano! Milano, a quanto risulta, si è sinora dimenticata di dare la “Cittadinanza Onoraria a Leonardo da Vinci”. E post-mortem andrebbe bene lo stesso. Qui non fu solo ospite illustre... Cari saluti

Giovanni Bortolin Caffè Letterario Lionardo’s Corner Milano

P.S. Poche righe ancora solo per condividere appieno quanto ha scritto suor Gloria Riva nella sua rubrica sotto al titolo “L’arte di Leonardo nella luce della fede” (“Avvenire”, «Dentro la bellezza» del 14 novembre 2019). Evidentemente ad Amboise, la presenza religiosa di fra’ Francesco da Milano lo aveva ben preparato a morire a Palazzo di Clos Lucé. È sempre un piacere leggervi.

Gentile signor Bortolin, il direttore mi ha chiesto di rispondere alla sua cortese lettera. Grazie naturalmente per le parole di apprezzamento per il nostro lavoro e per il mio articolo, ma soprattutto grazie perché nelle sue righe recupera il tema del lungo dibattito teologico, allora molto vivo, tra 'macolisti' e 'immacolisti' – e che per ragioni di spazio avevo dovuto sacrificare. L’immagine leonardesca era chiamata a chiarire agli occhi e fortificare nel cuore la fede nel mistero mariano, ma la sua complessità o ambiguità anche da lei ricordata dovette agire al contrario. Questa però è la forza di ogni 'grande' opera d’arte: sfuggire a una lettura deterministica, specie di cause ed effetti. Da questo punto di vista io credo che la vicenda della 'Vergine delle Rocce' sia molto interessante anche in una prospettiva contemporanea. La pala ci immerge nei momenti difficili e decisivi in cui un artista è chiamato a dare un’immagine a un problema – in questo caso un punto di fede, e pure dibattuto – per il quale non è stata ancora trovata una soluzione condivisa (nel nostro caso l’iconografia dell’Immacolata Concezione si sarebbe assestata solo tra Cinque e Seicento sull’immagine della Donna vestita di sole dell’Apocalisse). È una sfida a cui sono chiamati gli artisti contemporanei nel momento in cui è necessario conferire una 'forma', adeguata al presente, tanto ad antiche verità di fede ma per le quali spesso le soluzioni storiche appaiono ormai fruste e vuote, come in una routine, quanto a temi spirituali nuovi e attuali. Per quanto riguarda il suo invito a conferire la cittadinanza onoraria di Milano a Leonardo, condivido il pensiero del nostro direttore: Leonardo a Milano si sentì davvero a casa, fu la città che gli diede la possibilità di esplorare i suoi molteplici interessi. Ed è la città che ancora oggi più di tutte deve a Leonardo. Dunque perché no? Magari anche forzando prassi e consuetudine. Per una volta persino un’eccezione ad personam non scandalizzerebbe nessuno... Sarebbe un regalo inatteso, l’ultimo di questo cinquecentenario. Sempre però tenendo a mente che un artista, al di là delle carte e degli onori, è prima di tutto un cittadino del mondo.

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