Il voto parlamentare che ha visto convergere in Germania i cristiano-democratici di Cdu/Csu con l’estrema destra di Afd sul tema della politica migratoria è la spia di uno smottamento ideologico. Benché smentito due giorni dopo da un altro voto parlamentare, grazie all’intervento di Angela Merkel e a una pattuglia di franchi tiratori, certifica un progressivo allineamento dei tradizionali partiti centristi europei con le posizioni più oltranziste in materia di chiusura dei confini e rinuncia alla protezione dei diritti umani. Era già avvenuto qualcosa del genere in Francia, con un discusso indurimento delle norme approvato con il voto determinante del Rassemblement National di Marine Le Pen, e in Spagna, dove invece la convergenza tra Partito Popolare e Vox è stata sconfitta nelle urne.
La politica tedesca sull’asilo e l’immigrazione non è priva di contraddizioni e ripensamenti, ma nel complesso si tratta del Paese dell’Unione Europea più disponibile verso l’accoglienza dei rifugiati: 2,6 milioni ufficialmente registrati a fine 2023, che fanno della Germania l’unico membro dell’Unione a comparire nella lista dei dieci Paesi al mondo più impegnati a proteggere i profughi da guerre e persecuzioni. Per gli esuli siriani è stata una porta verso la salvezza. Ma l’ospitalità non si è limitata alla fase più cruenta della guerra in Siria. Nel 2023 Berlino ha ricevuto circa 350.000 domande di asilo, un terzo di quelle registrate nell’intera Ue, quasi il triplo di quelle presentate in Italia (135.000). Certo, i bassi tassi di disoccupazione, specialmente nei länd occidentali, hanno aiutato (siamo ora al 6,2%, dopo tre anni di recessione): circa 400.000 rifugiati siriani hanno trovato rapidamente lavoro nell’economia tedesca, sebbene al prezzo di una sottovalutazione delle loro competenze professionali, e sono ora considerati una risorsa a cui sarebbe complicato e forse impossibile rinunciare. Ma ora la situazione economica peggiorata spinge in direzione opposta, fornendo munizioni al fronte della chiusura. Alcuni cruenti attacchi (a Solingen, Magdeburgo, Aschaffenburg) hanno alzato la temperatura e gonfiato le vele dell’oltranzismo.
Ancora restii ad alleanze organiche con l’ultradestra, i centristi dell’Europa continentale stanno però franando verso la condivisione della visione e delle ricette della xenofobia militante. Sono spaventati dallo smottamento a destra del loro elettorato, e sperano di riconquistarlo, o almeno di fermare l’emorragia, adottando i programmi dei loro agguerriti competitori. Su un punto infatti ha ragione Afd in Germania, come Rn in Francia: i centristi hanno copiato da loro. Persino letteralmente, a quanto sembra, nel caso tedesco. L’obiezione secondo cui gli elettori preferiranno l’originale rispetto alla copia non sembra trattenerli.
Se si entra nel merito infatti delle proposte del candidato cancelliere Merz, approvate nei giorni scorsi dal congresso straordinario del suo partito, si incontrano delle misure che fino al recente passato non avrebbero trovato spazio in un consesso del mainstream politico europeo. Richiamano nella sostanza le ringhiose invettive di Trump, formulate con toni appena più civili. Tra di esse, compare per esempio il respingimento delle richieste di asilo dei profughi che entrano in Germania con mezzi irregolari, ossia la grande maggioranza, perché le persone in fuga difficilmente possono procurarsi passaporti e visti d’ingresso. Si annunciano restrizioni ai ricongiungimenti familiari, particolarmente gravi per partiti d’ispirazione cristiana. Non manca la riaffermazione di controlli permanenti alle frontiere, la cui compatibilità con l’accordo di Schengen appare difficile da dimostrare, nonché l’aumento dei fondi per le deportazioni, che in Europa si chiamano eufemisticamente rimpatri.
Moderazione ed equilibrio, fin qui bandiera del centrismo europeo, sembrano ammainate nella caccia al consenso. A spese dei più deboli, che in Germania come in America non potranno votare.

© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: