Lo scempio di chi si avventa sul povero corpo dei morti
sabato 18 luglio 2020

Ogni storia ha un luogo. Il luogo di questa è il cimitero Flaminio. A Roma. Sarebbe bello poter dire che si tratta di una vicenda che ha i caratteri della novità assoluta, che mai sulla faccia della terra era comparso simile scempio, ma non è così. Anzi, vale l’affermazione opposta: siamo nel 2020 e ancora ci assalgono storie simili, di negazione di ogni valore umano che sia tale. Oggi come migliaia di anni fa. Come sempre nel cuore dell’uomo che diventa schiavo del suo interesse particolare. Una schiavitù che gli fa perdere qualsiasi cognizione di bene e male. Così, la procura di Roma sta per chiedere il rinvio a giudizio di una quindicina di persone che, a titolo diverso, hanno partecipato allo scempio in questione.

E che parte dalle regole cimiteriali. Dopo 30 anni di giacenza all’interno del loculo, la bara con il defunto deve essere spostata. Di solito il tempo fa il suo dovere: consuma i resti dell’estinto, che andranno poi a essere depositati nell’ossario comune. Spesso i resti rimangono intatti, per una sorta di mummificazione della salma. In questo secondo caso, si deve procedere alla cremazione, per permettere successivamente lo spostamento nell’ossario. E qui, secondo gli inquirenti, forti delle immagini di alcune telecamere nascoste, che nel cimitero romano è avvenuto l’impensabile. I dipendenti di alcune agenzie funebri, di fronte alla spesa della cremazione che il parente della salma deve affrontare, propongono una seconda possibilità, più economica. A questo punto scatterebbe il piano criminale, che vede coinvolti anche alcuni dipendenti dell’Ama, la municipalizzata di Roma che opera nel settore dei rifiuti, che lavorano all’interno del cimitero. I parenti dei defunti non sanno quale sarà l’operazione che verrà fatta ai loro cari. L’operazione è questa: i dipendenti dell’Ama, così appare nelle immagini incriminate, non fanno altro che farli a pezzi, con un coltellaccio. Sezionano, spaccano in più parti il cadavere, per poi buttarli nell’ossario comune. Come si farebbe con un mobile che si deve gettare e che è preferibile rompere per comodità.

Come si farebbe con un qualsiasi rifiuto ingombrante. Si fa fatica a ragionare lucidamente su questa storia. Il culto dei morti, in ogni epoca e religione, è stato fonte stessa di civiltà. Non può non venire in mente Ugo Foscolo e i suoi Sepolcri: «Non vive ei forse anche sotterra, quando / Gli sarà muta l’armonia del giorno, / Se può destarla con soavi cure / Nella mente de’ suoi? Celeste è questa / Corrispondenza d’amorosi sensi». Forse, è proprio quello il momento che ha scatenato tutto, l’editto di Saint Claud, nel 1804, e il progressivo allontanamento della morte, vera e tangibile, dalle nostre vite. Lo stesso momento che scatenò i versi di Foscolo appena citati. O forse, in realtà nulla c’entra. Magari il motivo di tanta sconcezza è da cercarsi altrove. Forse nella sete di denaro che marchia l’epoca che stiamo vivendo, in cui ogni pratica sembra lecita se riesce a darci quella manciata di miseria da aggiungere alla nostra. Ma, sinceramente, non è né l’ora né il luogo questo dove cercare di rintracciare le motivazioni storiche e culturali che stanno alla base della vicenda. Ora preme altro. Restituire dignità alle vittime di questa storia inguardabile. Ecco il primo e necessario passo. Nessuno se ne abbia a male, ma le vittime, in questa vicenda, ancora prima delle loro famiglie, sono i defunti sottoposti al macello. A loro sia restituita dignità. Perché in quei corpi essi ed esse torneranno ad abitare, perché il cristianesimo più di ogni altra religione fa delle nostre spoglie terrene la casa dell’eternità intera. A voi, ora dormienti, che avete subito tanta cattiveria, va il nostro pensiero e la nostra commozione.

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