giovedì 28 gennaio 2010
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Èdavvero uno "strano" Paese quello in cui, nello stesso giorno, si scopre che la "mafia spa" è la prima azienda italiana con i suoi 135 miliardi di euro di fatturato e contemporaneamente vengono sequestrati beni per 550 milioni di euro al "cassiere" del boss siciliano Matteo Messina Denaro. Sì, uno "strano" Paese, colmo di contraddizioni e di sorprese, sempre difficile da catalogare, ma che non merita di essere definito "mafioso".Le due notizie, entrambe importantissime, ci restituiscono la consapevolezza di un Paese vivo che conosce i suoi mali e forse ha trovato la strada giusta per guarirli, senza mai perdere di vista la complessità dell’impresa. Proviamo a leggere i fatti. Innanzitutto la rinnovata capacità di decifrare il fenomeno mafioso e di metterlo a nudo. Lo sforzo messo in campo dalla Confesercenti con il rapporto Sos Impresa dal titolo "Le mani della criminalità sulle imprese" è la testimonianza tangibile che le intelligenze positive sono all’opera e che la mafia non può pensare di operare nell’ombra. Quando agli inizi degli anni Novanta, Mario Centorrino, Enzo Fantò e altri intellettuali meridionali posero il problema della cosiddetta "mafia imprenditrice", molti analisti furono colti di sorpresa. Poi l’evidenza dei fatti, la manifesta capacità mafiosa di allocare le "sue" risorse, il costante lambire e corteggiare il mondo della finanza, la crescita esponenziale delle inchieste di mafia in tutti i territori (compresi quelli non "canonicamente" sotto ricatto) hanno offerto elementi di certezza. Ora, l’intelligenza mafiosa, che è sempre bene non associare semplicisticamente al volto e alle dita nodose del vecchio capomafia, sa di dover fare i conti con un’altra intelligenza. Quella "civile" di chi sa fare i conti in tasca alla criminalità, sino al punto di valutare l’utile della "mafia spa" attorno ai 70 miliardi di euro, al netto di investimenti e accantonamenti. Una cifra sconvolgente: non c’è alcuna attività legale e pulita che possa garantire un margine di quelle dimensioni, pari cioè al 50% del fatturato. Un dato davvero allarmante che testimonia l’efficacia del sistema economico mafioso, nel quale la prima voce è costituita ovviamente dalle droghe, con 60 miliardi di fatturato. Ma poi ci sono la filiera agroalimentare, gli appalti pubblici, i settori immobiliare e finanziario, con un posto di rilievo per il "pizzo" e l’usura. Questa straordinaria capacità di analisi e di descrizione rafforza il secondo polo del nostro ragionamento: non bisogna fare neanche un mezzo passo indietro nella scelta di colpire i capitali mafiosi. Il colpaccio portato a segno in Sicilia e che ha oggettivamente indebolito il superboss latitante Matteo Messina Denaro è solo l’ultimo dei maxisequestri. La strada è giusta, anche se bisogna essere ben consapevoli che la reazione mafiosa non tarderà e che dunque lo Stato non può permettersi di abbassare la guardia. Non sappiamo quale sarà la goccia che farà traboccare il vaso per i capimafia, ma questo è il momento di far capire che si è aperta una stagione nuova. E che lo Stato vuole giocarsi la partita senza paura e sino in fondo. Del resto, basta considerare come la mafia stia risalendo inesorabilmente lo Stivale per capire che non le si può cedere il passo. I sequestri di beni mafiosi sono concentrati al 90 per cento al Centro-Sud, ma la Borsa è a Milano. Italia avvisata, mezza salvata.
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