venerdì 9 settembre 2011
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Il 48 orizzontale: Morte provocata per pietà. Il cruciverba non lascia scampo. La risposta giusta, nove lettere: eutanasia. "Giusta" per modo di dire. Nel senso che si tratta di una domanda costruita su un pregiudizio che moralmente assolve chi metta in atto un tale gesto. L’evocazione della pietà come movente per un atto senza ritorno pone le condizioni per un’ampia giustificazione morale e include prepotentemente la scelta eutanasica nell’orizzonte del possibile. Trascurando il piccolo, ma non lieve particolare, che l’eutanasia non è contemplata nel nostro come negli ordinamenti di mezzo mondo e che ancora oggi essa è rifiutata dalla maggior parte delle culture, a ogni latitudine. Anche se in tante realtà nazionali, vedi il caso della Gran Bretagna, pur restando un crimine, l’eutanasia non sempre viene rigorosamente perseguita. Facendo scattare, sempre più spesso, il medesimo impianto giustificatorio: l’aver agito per compassione, aiutando un parente o un amico «con un chiaro, informato e deciso desiderio di morire». Più neutra la definizione di eutanasia offerta dal vocabolario Garzanti: «Morte indolore provocata per porre fine alle sofferenza di un malato inguaribile». Nel caso del cruciverba, pubblicato sulla più antica e famosa rivista di settore e passato per le mani di centinaia di migliaia di appassionati, potremmo invocare il principio di banalizzazione che impera anche nelle migliori famiglie editoriali. Ma la realtà è che quella definizione così stentorea presume di cristallizzare un sentire comune che non va semplicemente ostacolato con le armi della polemica culturale, ma va interpretato, decodificato e, se possibile, destrutturato e re-inglobato in un diverso orizzonte di senso. In fondo, la perdita di valore del tratto finale della vita, soprattutto se povera indifesa malata, è legata proprio alla mancanza di ricerca di senso che accompagna l’individuo moderno sin dalla culla. Perché affannarsi a cercare, anche con fatica morale, intellettuale ed esperienziale, un significato dell’esistenza? Tanto vale viverla la vita e questo deve bastare per darle un senso. Tanto poi, alla fine, un’iniezione letale, magari con il tappeto sonoro di musiche New Age e pareti dipinte con colori riposanti, può chiudere "facilmente" un’esistenza. A prescindere dal come la si sia vissuta, dalle relazioni che sono state intessute, dalla qualità dei sentimenti, dai valori e dalle ideologie di riferimento, dalla qualità stessa della vita (tema di gran moda per tutti i moderni).Certo, preoccupa che oggi l’eutanasia venga immediatamente abbinata, persino in un cruciverba, all’esercizio della pietà. Virtù antichissima, la pietà, uno dei sette doni dello Spirito Santo, come ci è stato insegnato in un tempo lontano. Una virtù oggi piegata alle convenienze di un dibattito pubblico avvelenato da decenni di pratiche dell’irresponsabilità militante che hanno fiaccato la stessa capacità di resistenza degli umani dinanzi al dolore che a pochi, a voler essere intellettualmente onesti, viene risparmiato. Solo la coscienza del dolore come una parte ineludibile della condizione umana lo umanizza. Restituendolo a un vissuto di relazione che trascende la condizione di sofferenza e l’arricchisce di pura, cristallina umanità.
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