martedì 24 luglio 2018
La storia e l'attualità spingono a un'azione etico-politica. Da Carl Schmitt alle vicende di oggi
Le bandiere dell’Unione Africana e dell’Unione Europea

Le bandiere dell’Unione Africana e dell’Unione Europea

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Non esiste, oggi, un argomento così divisivo e continuamente presente su tutti i media e nel dibattito politico, nazionale e internazionale come quello delle emigrazioni e dell’Africa. Argomento che tanto accende le passioni e gli interessi – soggiacenti e sovente inespressi – quanto poco individua risposte chiare e percorribili. Se è vero – come sempre nuove evidenze indicano – che dall’Africa è partita la storia degli esseri umani, sembra che nuovamente le emigrazioni da questo continente siano destinate a condizionare la storia del globo e dei suoi equilibri. Negli anni 50 del secolo scorso, Carl Schmitt, nel suo ultimo grande libro, Der Nomos der Erde (Il nomos della Terra) – affrontando il tema del rapporto tra la Terra e il giuridico – analizza le ragioni del tramonto dell’Europa e dello Ius publicum Europaeum che l’ha tenuta unita, assicurandole stabilità e grandezza. Dal grande affresco che ne esce, egli ricava le ragioni del diffondersi ubiquitario di una violenza sempre più de-istituzionalizzata e anomica, di cui, negli ultimi decenni, abbiamo visto il pieno dispiegarsi.

Uno dei motivi principali che Schmitt adduce per spiegare il declino dell’Europa e la sua progressiva marginalizzazione sulla scena politica mondiale, è proprio quello della potente spinta espansiva e colonizzatrice del Vecchio Continente. Spinta colonizzatrice nata dalla straordinaria capacità conoscitiva e, soprattutto, misurante – oltre che simbolica e concettualizzante – della cultura europea. Capacità che Dante, riconoscendola a Ulisse, ha esteso a tutti gli europei. Non meno di queste straordinarie qualità, tuttavia, in Europa ha agito da forza propulsiva la fame di terre e di risorse. Schmitt, però, indica proprio in questo smisurato allargamento della scena politica fino ai confini del mondo le ragioni dello spostamento del suo centro verso altre zone divenute sempre più nevralgiche – gli Stati Uniti, soprattutto –, fino a rendere l’Europa quello che oggi, desolatamente, mostra di essere: una terra affascinante e splendida, ricca di cultura e risorse, povera di coesione politica, capacità decisionale, slancio demografico.

Schmitt sottolinea, con non poche ragioni, che l’Europa, nella propria spregiudicata azione colonizzatrice, non solo si è arricchita di materie prime e di terre, ma ha anche esportato fuori dai confini le proprie endemiche rivalità e ostilità, preservandosi, fino a un certo punto, da rovinose guerre intestine. Così facendo, però, essa ha posto le basi del tragico indebolimento fino alla dissoluzione della grandiosa architettura giuridica dello Ius publicum Europaeum, sempre più svuotato a mano a mano che entravano sulla scena altri attori politici di primaria importanza. Inoltre, mentre la violenza nei territori extraeuropei abbandonava ogni cornice regolativa, se ne favoriva l’anomico dilatarsi all’intero globo.

Senza entrare oltre nel merito della visione schmittiana né pretendere di tirare le somme del complesso processo colonizzatore, mi pare che le riflessioni riportate ci consentano di impostare un ragionamento più equilibrato in merito a una linea di azione europea in Africa. La colonizzazione ha indubbiamente portato all’Europa enormi ricchezze primarie e vantaggi secondari di varia natura, ma anche, come si è detto, meno visibile eppure grave, l’esito della sua marginalizzazione politica e della dissoluzione del più grande tentativo di 'messa in forma' giuridica della violenza bellica che sia mai stato tentato. L’Africa, al contrario dell’America Latina, è ancora – forse per poco – legata all’Europa da complessi e sedimentati rapporti: la lezione di Schmitt ci dovrebbe insegnare che questi, intrecciati per lo più per motivi di puro sfruttamento, devono essere valutati con prudenza. Come si è visto, infatti, ogni orientamento e decisione politica di grande impatto portano a conseguenze di lungo termine, spesso imprevedibili e drammatiche, che andrebbero prese in considerazione al di là dei contesti immediati.

Il non saper affrontare ora la realtà delle emigrazioni africane, quasi rinnegando la storia che ci lega a quel continente, è un errore sia tattico sia strategico. Errore tattico il rifugiarsi in rovinose soluzioni tampone come gli accordi con la Turchia o con la Libia a fungere da serbatoi-lager di profughi respinti «senza se e senza ma», che non farà altro che attribuire a Paesi – caratterizzati da gravi e gravissimi deficit di democrazia – un immenso potere ricattatorio nei confronti dell’Europa. Strategico perché impedirà all’Europa di iniziare una lenta ma necessaria via – doverosa sotto il profilo morale e fruttuosa sotto quello politicoeconomico – di ripristino e riconversione dei rapporti ancora esistenti con l’Africa, a vantaggio del suo sviluppo e a progressiva soluzione delle attuali, a tratti compulsive, ondate migratorie.

Blocchi esemplari a costo di vite umane, cecità di fronte alle condizioni dei campi di stanziamento in Libia e in Nord Africa, così come la partecipazione alle nuove forme di colonizzazione soft del territorio africano – come il land grabbing – o lo sfruttamento delle risorse primarie senza contemporanei, concreti progetti di aiuto allo sviluppo hanno e avranno sempre più conseguenze pesanti. Le nuove forme di colonizzazione già attivano e attiveranno sempre di più divisioni politiche in seno ai Paesi europei. Lo sfruttamento vorace e non cooperativo delle risorse africane fa e farà da volano per le emigrazioni. L’unica vera possibilità che l’Europa ha di fronte a sé per restituire a se stessa un ruolo politico e decisionale consono alla sua grande tradizione (e al suo interesse strategico) è quella di avviare e accompagnare un grandioso – e unitario – piano di sviluppo economico e politico dei e coi Paesi africani. Ciò va fatto in nome – e a riscatto – dei duri rapporti avuti con tali nazioni nel passato, e prima che altri grandi Paesi a quelli totalmente estranei, compiano, nei confronti dei popoli e delle terre d’Africa, un’ennesima operazione di spoliazione.

Un’Europa incapace di prendere una decisione di lungo respiro, propositivamente umanitaria, verso l’Africa e i suoi numerosi drammi muoverebbe un ulteriore e forse definitivo passo verso la propria irreversibile marginalizzazione e, ancora di più, compirebbe un ennesimo tradimento della propria millenaria tradizione culturale e morale. Questo è quanto l’Europa non può permettersi, a rischio di sostanziale sparizione dalla scena politica e di probabile implosione.

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