martedì 4 ottobre 2011
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Gentile direttore,
ringrazio Antonio Meo che nella sua lettera (Avvenire, 1 ottobre, p. 31) mi chiede di spiegare che cosa significhi che la dottoressa Eleonora Porcu nel 2005 abbia difeso la legge 40. Avendo il dovere di rispondere, gli ricordo che per la dottrina cattolica «la crioconservazione di ovociti in ordine al processo di procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile» (Istruzione Dignitatis Personae, 2008, n. 20). La tecnica usata da Porcu può essere conforme alla legge 40, ma è espressamente condannata dalla morale cattolica: i cattolici la potranno tollerare turandosi il naso, ma non salutarla con entusiasmo e approvazione. L’annuncio in prima pagina con plauso del quotidiano cattolico è in pratica una sconfessione del Magistero, quasi a dire che alla fin fine la bontà morale è ormai dettata dalla legge 40. Il significato della difesa della legge è che sulla fecondazione assistita c’è oggi tra i cattolici una gran confusione di idee su ciò che è giusto credere, affermare e fare, confusione che rilevo con interesse perché è preludio a quel cambiamento di paradigma morale che da laico auspico da tempo.
Maurizio Mori - Presidente della Onlus "Consulta di Bioetica"
Lei, gentile professore, ha le sue opinioni che sono, come noto, assai spesso radicalmente diverse dalle nostre. Dovrebbero bastarle, ma vedo che non si accontenta e che intende – non esattamente con gentilezza – "dettare" anche quelle di Avvenire. Se ogni notizia che decidiamo di portare in prima pagina («Dopo il cancro al seno rimane incinta congelando gli ovuli») significasse un «plauso» avremmo incredibilmente battuto le mani a tutto o quasi, compreso il terremoto ad Haiti e gli eccidi in Congo… Questo per dirle, illustre professore, che farebbe meglio, ma molto meglio, a contenere il suo entusiasmo interpretativo. Che è provocatorio tanto quanto lo era, ma verso di lei, la domanda retorica contenuta nella breve e lucida lettera di Antonio Meo. Quanto al «dovere» che rivendica (!) di ricordare i capisaldi della dottrina morale cattolica sul tema della fecondazione assistita e della crioconservazione, suggerisco a lei e ai sommariamente informati (oltre che agli artatamente disinformati) di tornare piuttosto a leggersi l’ennesimo e inequivocabile pro-memoria dedicato il 29 settembre all’argomento dal nostro inserto "è vita". Quello stesso pro-memoria, professor Mori, che il nostro lettore, citava a suo vantaggio "informativo"... Tra i cattolici non c’è affatto la confusione che lei dà per scontata (qualche eccitato confusionario non manca mai in tutte le famiglie, ma si rassegni: non fa Babele…). Tra i cattolici e – grazie al buon Dio, e al buon uso della ragione – tra tanti laici c’è invece tutt’altro: un consapevole e crescente allarme per le manipolazioni dell’umano e per la pretesa di ridurre la vita a puro "materiale biologico". Detto questo, non è un mistero (basta scorrere le annate di Avvenire) che raccontiamo da sempre con interesse – pur con l’ottica di chi crede che le vie della maternità e della paternità siano naturali e non meritino artifici – tutto ciò che è orientato a impedire la produzione, il congelamento, la selezione eugenetica, la distruzione e l’«utilizzo» di embrioni d’uomo e di donna, cioè di persone concepite e, dunque, già in essere. Frutto di questa impostazione è stata ed è, anche da parte nostra, la difesa della legge 40 dagli assalti referendari e dalle martellate "interpretative" che si continuano a tentare in sede giudiziaria dopo la bocciatura solenne da parte dei cittadini elettori di quei quesiti distruttivi. La legge 40 non è un testo «cattolico», ma – l’abbiamo detto e ridetto mille volte – è un punto d’incontro politico e normativo tra visioni diverse eppure egualmente contrarie al far west della procreazione artificiale. Per questo il lettore Meo ha brillantemente incalzato chi, come lei, professore, ha sempre definito «cattolica» una legge per noi non perfetta, ma che ha utilmente impedito o reso meno drammatici certi spregiudicati giochi (e affari) di laboratorio. Per questo, come lei sa bene (e qualcuno finge di non ricordare), la sua Onlus ovvero il suo gruppo di lavoro (e di pressione) è su posizioni opposte a quelle che Avvenire esprime e alle quali Avvenire dà spazio. Pubblico questa sua lettera non perché debba farlo, ma perché mi pare davvero utile per rendere definitivamente chiaro agli amici lettori quali siano i sofismi dei dogmatici della deregulation etica e scientifica, e fin dove si spingano. Noi abbiamo invece valori cardine, priorità ben definite, idee nette e forti, gran volontà di dialogo nella chiarezza con tutti e nessun bisogno – ma proprio nessuno – di interessati "traduttori". Io, esimio professore, mi auguro un giorno di poterla definire "paladino della intangibilità della vita umana", ma non mi permetterei mai di stravolgere in modo propagandistico le sue posizioni. Ognuno, come si vede, ha il suo stile.
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