Le tante ragioni e vittime della "centralità" di al-Sisi
sabato 13 giugno 2020

L’Egitto e il caso Regeni. L’Egitto e l’arresto dello studente Patrick Zaky. L’Egitto e il conflitto libico. L’Egitto e l’immensa riserva di gas naturale del giacimento Zohr (2,7 miliardi di piedi cubi al giorno) scoperta dall’Eni al largo delle coste di Port Said.

L’Egitto è molte cose insieme, compresa la necessità politica del governo italiano di mantenere il dialogo con un presidente come Abdel Fatah al-Sisi, non esattamente un campione di trasparenza e di democrazia. La vicenda della maxi-commessa militare (6 fregate Fremm, una ventina di pattugliatori navali di Fincantieri, ventiquattro cacciabombardieri Eurofighter Typhoon, una ventina di velivoli da addestramento M346 di Leonardo, per un controvalore di 10 miliardi di euro) scuote il mondo politico e insieme la coscienza dei molti – Amnesty International ha varato una campagna all’insegna dell’hashtag #StopArmiEgitto – che si domandano se sia lecito continuare a produrre e vendere armi e se sia corretto venderle a un regime che dei diritti civili elementari – la tragica vicenda di Regeni è solo un capocchia di spillo a fronte delle migliaia di anonimi sventurati reclusi, torturati e fatti sparire – ha fatto strame.

Eppure quando la notte di giovedì il Consiglio dei ministri ha approvato la vendita delle prime due fregate all’Egitto nessuno dei presenti ha alzato il dito per sollevare la questione, nessuno ha protestato, nessuno ha votato contro. Potremmo chiamarlo l’amaro trionfo della Realpolitik, o anche della ragion di Stato, non fosse che il corpo straziato del giovane ricercatore friulano rapito il 26 gennaio del 2016 reclama ancora una risposta che le autorità del Cairo continuano a negare. Ma all’ombra di quel misfatto che tuttora invoca giustizia c’è un consolidato rapporto d’affari fra noi e il grande Paese che si affaccia sul Mar Mediterraneo – almeno 7,5 miliardi di euro di interscambio commerciale annuo, che fa dell’Italia il primo partner europeo dell’Egitto –, ma non soltanto.

Perché a quelle commerciali si aggiungono considerazioni geopolitiche di prima grandezza se pensiamo al ruolo di sponsor del generale Khalifa Haftar che al-Sisi ha ricoperto nel lungo conflitto civile in Libia accanto alla Russia e agli Emirati del Golfo. Ed è all’Egitto che il nostro Paese a suo tempo si è maldestramente rivolto per contattare il generale Haftar quando ha cercato di sbloccare lo stallo fra Tripoli e Bengasi (c’è chi in proposito sospetta che la 'Spartaco Schergat' e la 'Emilio Bianchi', le prime due fregate promesse al Cairo, siano il 'pizzo' richiesto da al-Sisi per quella mediazione), con l’effetto di irritare Sarraj e di non convincere per nulla il suo avversario.

Il risultato, come sappiamo, è stato quello di una sconfortante estromissione dell’Europa dal teatro libico a vantaggio della Turchia (che con il suo intervento militare al fianco di Sarraj ci ha soppiantato a Tripoli) e della Russia (che ha messo in ombra i francesi a Bengasi). Nondimeno l’Egitto rimane suo malgrado la chiave di volta per la stabilità della regione: le sue quattro frontiere geografiche – la Libia, il Sudan, Israele e la Striscia di Gaza – sono i punti caldi dello scacchiere mediterraneo e al tempo stesso un presidio a garanzia di un equilibrio sempre molto fragile nella lotta al terrorismo.

L’abile equidistanza dalle grandi e piccole potenze è uno dei segreti della 'centralità' del presidente egiziano: comprare navi e velivoli dagli italiani, ma anche i caccia Sukhoi Su-35 dai russi, fare affari con Roma e Parigi ma concedere approdi navali a Mosca come accadeva ai tempi del panarabismo socialista di Nasser, lottizzare le perspezioni del ricco fondale marino con i giganti dell’energia, mantiene l’Egitto fra i primi attori del teatro regionale. L’altro segreto – che segreto poi non è – è la complicità forzosa che al-Sisi è riuscito a ottenere dagli ultimi quattro governi italiani nel mantenere sotto traccia la ricerca della verità sul caso Regeni. Una verità senza prezzo, a differenza delle ricche forniture militari e petrolifere. Ma questo in fondo già lo sapevamo.

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